Senza fronzoli
Abbimamo letto qua e là su internet un testo bello, che parla chiaro, senza fronzoli ideologici, riguardo ad alcuni avvenimenti dell’ultima settimana di maggio. Ve lo riproponiamo con piacere
Razzismo. Martedi mattina ero indeciso su cosa fare durante la giornata. Ancora assonnato scendo al bar sotto casa per prendere il caffè e leggere il giornale, e tra me e me penso di dedicare un po’ di tempo all’università e un po’ all’allenamento, alla mia vita insomma. Ma fingere di non vedere il mondo che ci circonda è oramai sempre più difficile. “Dovete essere puliti per entrare qui! Ma perché non andate lontano, in un altro bar?”, dice un italiano a uno zingaro: “Il parco non è vostro, ve ne dovete andare! Uno di questi giorni vi brucio tutti col lanciafiamme!” Nella mia testa scorrono come un lampo i più drammatici fatti di cronaca degli ultimi tempi, rispondo al razzista per le rime, ed offro la mia amicizia ai nomadi che si sono accampati lì vicino. Dentro di me penso che di queste cose ne ho veramente le palle piene, che minacciare di dare fuoco a qualcuno non deve essere una normale chiacchiera da bar: anche oggi troverò il modo di manifestare contro i responsabili di questa situazione, i dispensatori di odio e paura che stanno al governo, che con le loro politiche xenofobe e securitarie stanno eliminando anche le ultime parvenze di libertà che questa civiltà morente sapeva ancora offrire.
Leghisti. Alcuni compagni decidono di restituire al ministro dell’interno Maroni una microspia che era stata nascosta in un luogo dove siamo soliti incontrarci. Scegliamo l’ufficio della Lega Nord in piazza Saluzzo, che tutti i giorni apre la sua saracinesca per dividere gli immigrati in regolari e clandestini, buoni e cattivi, nel cuore del quartiere multietnico di San Salvario. Alla consegna lanciamo anche diversi volantini: “Sorvegliateci i Maroni!” e ripetiamo i soliti slogan. Poi ce ne andiamo, con troppa calma, troppa tranquillità. Nessuno immagina che di questi tempi si possa finire in carcere per un volantinaggio. Ora dopo ora, un semplice controllo di polizia diventa un fermo, una perquisizione in caserma, foto segnaletiche in questura, e infine l’arresto per quattro di noi. Il potere d’altra parte non può accettare che si vada a sfidare i padroni a casa loro. Per fortuna, ci risolleva la reazione del primo prigioniero a cui raccontiamo i fatti per cui siamo stati arrestati: “Cercate volontari?”
Carcere. E’ la prima volta che finisco dentro, i racconti e le descrizioni mi fanno sentire preparato, ma esserci è un’altra cosa. C’è sovraffollamento e dentro l’aria è piena di tensione. In cella siamo in dodici, non ci sono coperte per tutti, molti non riescono a dormire e ci accasciamo dove si può usando il pane duro come cuscino. Quando vogliamo andare all’aria ci lasciano in cella, quando vogliamo tornare in cella ci lasciano all’aria. Il cibo fa schifo e molto viene buttato via, l’acqua è calda, solo grazie alle premure dei detenuti che servono il cibo riesco a mangiare vegano. Le guardie passano un sacco di tempo a non fare nulla in ufficio, a chiacchierare, a fumare sigarette, e convincerli anche solo a farci andare al bagno è un’impresa, perché si arrabbiano facilmente e se non parli italiano comprensibile è peggio. Alcuni secondini sono più disponibili di altri, e quando riusciamo a parlarci ci dicono che anche loro dentro vogliono fare casino, preparano uno sciopero, anche se non fanno che ripetere che non servirà a niente. Altri invece sono proprio bastardi, amano comandare, urlano sempre, si sentono come piccoli tiranni nel loro regno di sbarre e di cemento.
Documenti. La maggior parte dei reclusi nella nostra cella ai Nuovi Giunti è costituita da stranieri fermati per la strada senza i documenti in regola. Ci sono alcuni marocchini frequentatori di Porta Palazzo che ci riconoscono e solidarizzano con noi, ci hanno visti alla “grande manifestazione” di sabato tra le bancarelle del mercato e ci incoraggiano a continuare con le manifestazioni antirazziste appena saremo fuori. Un italiano è dentro per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, accusato di aver organizzato il matrimonio della figlia con un marocchino senza documenti. Un filippino faceva il badante in una casa italiana, aveva il passaporto, il contratto di lavoro, la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, ma non il permesso di soggiorno: è uscito di casa ed è stato fermato dalla polizia, che lo ha portato alle Vallette. Da quando il governo ha deciso per la linea dura contro i clandestini, siamo arrivati al punto che perfino le guardie si lamentano dei troppi arresti.
Solidarietà. La sola cosa che non ci manca dentro è la solidarietà, il mutuo appoggio tra reclusi. Fortunatamente siamo in tanti, ognuno ha la sua storia da raccontare, un paese d’origine diverso da descrivere, e parliamo di razzismo, di religione, di carcere e polizia. Qualcuno dentro ci aiuta facendoci avere una penna e della carta per scrivere, un po’ di tabacco, una pagina di giornale. Condividiamo tra noi le poche cose, ci ripromettiamo aiuto in caso di scarcerazione, gli abbracci fraterni e gli sguardi di complicità sono quelle piccole cose che ci danno forza e ci permettono di affrontare tutto a testa alta. Mercoledi incominciano ad arrivare i telegrammi di tutti i compagni, che ringrazio, e la sera ci addormentiamo con i fuochi d’artificio, che non vediamo ma sentiamo fortissimi, e le grida di libertà dei solidali accorsi sotto le mura. Le vibrazioni causate dai botti scuotono tutto il carcere, per un attimo abbiamo la sensazione che stia per crollare, forse un giorno questi luoghi crolleranno davvero.
Violenza. Ci accusano di “violenza privata” e vorrebbero farci passare come dei vigliacchi che si avventano in gruppo contro due poveri vecchietti intenti a prestare il loro lavoro per il quartiere. Se queste persone hanno avuto paura, bisogna proprio dirlo, è un problema loro, e ci dovevano pensare prima di schierarsi in prima fila in una guerra scatenata dall’alto delle loro sedi di partito. Loro hanno poliziotti armati ai loro ordini, le leggi dalla loro parte, giornali e televisioni ripetono all’infinito la loro propaganda di merda. Questa guerra fa paura tutti i giorni a un sacco di immigrati costretti a vivere con la testa bassa, questa guerra sequestra persone, divide famiglie, segrega minoranze, controlla e sorveglia, deporta ed uccide. Non ci vengano a raccontare che adesso i violenti siamo noi, perché assumendocene i rischi osiamo portare un messaggio diverso al ministero della paura. Non fermeranno le nostre idee e i nostri sentimenti, noi a differenza di loro non siamo padroni di nulla, siamo a casa ovunque, e non abbiamo niente da perdere. In un mondo violento come questo la resistenza è la violenza minore e senza dubbio quella più di tutte giustificabile.
Dialogo. Succede alle Vallette che quando chiamiamo la guardia per farci andare tutti al bagno la sera prima di dormire, questa lascia uscire me e Cesco e poi si mette di mezzo, bloccando l’uscita agli altri dieci nostri compagni di cella, e chiude bruscamente a chiave. Dopo averci fatto andare a pisciare la guardia ci prende in parte e ci dice: “E così voi siete gli anarchici, eh? Io sono leghista.” Dice che siamo violenti, che ce la prendiamo con gli indifesi, e anche che siamo degli ingenui perché ci lasciamo strumentalizzare. Ci racconta quindi la sua storia di rassegnato, anche lui un tempo frequentava i movimenti, ma alla fine ha capito che tutto è inutile e che bisogna pensare solo a se stessi. Così adesso fa il secondino, vota Lega Nord e lascia andare al bagno solo chi decide lui. Quando proviamo a protestare per convincerlo ad ascoltare anche tutti gli altri ci risponde così: “Ecco, è arrivato l’avvocato delle cause perse..” e chiude nuovamente la cella. Alla fine se ne va seccato, perché avrebbe voluto confrontarsi democraticamente con noi sulla Prima Guerra Mondiale, sugli anarchici e Pinelli, ma gli abbiamo risposto che non ci interessa il dialogo con quelli come lui.
Resistenza. Quando giovedì otteniamo la scarcerazione, abbiamo finalmente modo di capire cosa è successo in questi ultimi giorni, a Torino e nel resto della penisola. Un po’ preso dall’euforia della liberazione passo una bella serata con amici e compagni, e mi lancio in molte accese discussioni. Come al solito, quando le lotte crescono le tensioni si ripercuotono anche all’interno del movimento, sorgono polemiche e rancori reciproci, a volte anche molto spiacevoli, ma non è a questo genere di questioni che voglio rispondere. Chi va in cerca degli errori e delle colpe altrui oggi non fa che portare la guerra tra poveri anche tra noi che continuiamo disperatamente a resistere contro questo ordine sociale. La guerra purtroppo c’è davvero, e non l’abbiamo scelta noi. Non è in un lontano paese dell’Africa o del Medio Oriente, ma è nelle nostre strade, nei nostri quartieri, entra nelle nostre case, ci porta via gli amici. Che ci piaccia o no, ne saremo sempre più coinvolti. L’urgenza di fare uno sforzo in più, ciascuno con le forme che gli sono proprie, è per questo sempre più impellente: bisogna resistere, organizzarsi per difendersi, organizzarsi per costruire relazioni sociali diverse. Qualcuno penserà che è un suicidio inutile, che i tanti piccoli attacchi che si sono verificati in questi giorni contro questa classe dirigente di merda non servono a cambiare le cose. La pensava così anche un secondino leghista. Io, al contrario, sono molto felice di vedere che in maniera diversa e diffusa sempre più individui insorgono, rompono le palle, si mettono in mezzo, urlano la loro rabbia. Ci sono dei giusti sentimenti anche dietro alle azioni apparentemente più deboli e maldestre: facciamoli crescere, lasciamoli uscire.