Come fare?

«Dopo più di un secolo di interrogazioni sul “che fare?”, l’interrogativo che vogliamo porre – lo stesso con cui ci svegliamo al mattino e con cui ci corichiamo la notte – è diverso: “come fare?” Il “cosa” è chiaro da tempo immemore: distruggere lo Stato e il capitalismo. Ed è affiorato, contropelo, in quelle incrinature della storia che chiamiamo rivolte, insurrezioni, rivoluzioni.

L’esperienza recente e lontana dovrebbe aver sufficientemente insegnato che non è possibile separare i fini che si perseguono dai mezzi che si impiegano, perché i primi sono sempre condizionati dai secondi, e perché chi rinuncia ai mezzi, rinuncia ai fini. E non serve rimuovere la polvere dagli scaffali delle librerie e scomodare i classici per accorgersene: un’occhiata al nostro presente, a quei mostruosi ectoplasmi che ancora chiamiamo città o a quel “formicaio di uomini soli” che ancora chiamiamo società, ci illustrerà quanto basta ciò che è rimasto del “sogno di una cosa”. Se l’urbanistica, come diceva qualcuno, è la continuazione nello spazio della guerra di classe, possiamo facilmente non solo vedere, ma persino respirare quanto la nostra classe – quella degli esclusi – abbia perso. La lenta conquista del socialismo attraverso la democrazia parlamentare e i sindacati, le repubbliche popolari, i colpi di Stato di un partito in nome del proletariato, le astuzie strategiche, le eccezioni tattiche, le vecchie talpe che scavano al posto nostro, le infinite dittature, tutte provvisorie, le immancabili transizioni, che mai transitano ma che tutto giustificano, la retorica del sacrificio, il realismo della politica, il pericolo della Destra da scongiurare con le più ignominiose alleanze – ed eccoci qua. Con attacchi padronali senza precedenti e con gli operai che votano Lega.

“Come fare?” è la domanda che poniamo a tutti quelli che pensano che alla libertà si arriva solo attraverso la libertà, persuasi che delegando oggi si subisce domani, e che nel mentre stesso delle rivolte, delle lotte e persino delle singole iniziative si debba intravedere il mondo per cui ci battiamo. Che al proprio bisogno di libertà, di comunanza, di giustizia e di violenza liberatrice si debba rispondere subito, perché la vita è breve – e perché a chi verrà dopo vogliamo dire “cogli l’occasione”, non “aspetta e spera”.

Questo sarà un giornale di “invarianti” (“la libertà, tutta la libertà, nient’altro che la libertà!”) e allo stesso di problemi, di domande aperte sul come. Per cui vorremmo che a fiatare non fossero i miasmi dell’ideologia,  ma il vento delle idee, delle esperienze, dei tentativi, delle difficoltà, dei limiti, delle sperimentazioni. Di ieri e di oggi, in un sovversivo scambio di saperi, di tecniche, di armi tra le generazioni che sono state e la nostra.

Un giornale di corrispondenze: tra idee e azioni, tra pagina e vita, tra locale e internazionale, tra passato e presente, tra carne e spirito, tra leggerezza e rigore.

Una scommessa, una sorta di round robin, il giuramento con cui gli ammutinati delle navi si impegnavano a portare a termine la loro ribellione e si assumevano la responsabilità della loro decisione (mettendo le loro firme in cerchio, di modo che non si potesse accusare il primo di essere l’istigatore della rivolta).

Non disdegniamo di trovare dei complici, ovviamente, una volta saliti sul ponte.»

(“Invece”, mensile anarchico, a Torino lo trovate durante le iniziative o nelle distribuzioni di movimento. Per contattare i redattori potete scrivere a invece@autistici.org)

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