Note a caldo sugli arresti
Dopo la concitazione della giornata di ieri, passata a cercare di capire dove fossero stati dirottati i vari arrestati, proviamo ad abbozzare alcune riflessioni in merito a quest’ultima inchiesta, che, un po’ per il gran numero di indagati (111) e di persone sottoposte a misure cautelari (29), un po’ per la peculiarità dei capi di imputazione, merita un’analisi più approfondita.
Come far entrare in una stessa inchiesta così tanti indagati?
La risposta è relativamente semplice: non mettendo solo i soliti nomi noti alla Questura torinese.
Nelle 200 pagine di cui si compone l’accusa ritroviamo una fetta di città, quella dei quartieri Porta Palazzo, Aurora e Barriera di Milano.
Ritroviamo i nomi e i volti di chi, non potendo più permettersi di pagare un affitto, ha deciso in questi anni di organizzarsi per aiutarsi reciprocamente. Dei molti, italiani e stranieri, che si sono barricati dietro ai cassonetti per resistere, che hanno atteso con ansia e determinazione l’arrivo dell’ufficiale giudiziario e che, una volta persa la loro casa, hanno deciso di occuparne una vuota.
Ciò che si palesa immediatamente è che non si tratta di un reato di tipo associativo quanto piuttosto dell’accorpamento di reati singoli e di modesta entità in una solo filone di indagine.
Il reato maggiormente contestato è la violenza a pubblico ufficiale, ma troviamo anche imputazioni più anomale come il sequestro di persona, reato che era già stato utilizzato nei confronti di Giobbe, Andrea e Claudio. Questa volta a essere sequestrati, secondo la Procura, sarebbero stati gli ufficiali giudiziari che, circondati dai partecipanti ai picchetti, si vedevano costretti a concedere proroghe alle procedure di sfratto.
Le misure cautelari sono giustificate non tanto dalla gravità dei singoli episodi, ma dalla loro reiterazione, ritenuta coerente con un quadro teorico che i PM individuano all’interno di volantini diffusi durante i picchetti e testi pubblicati sulla rivista Invece e su questo blog.
Ma veniamo alle carte: «L’effetto di tali plurime, concertate azioni oppositive è stato, sostanzialmente, quello di privare di autorità e di forza esecutiva le decisioni giudiziarie […], con l’intento di impedire, in un contesto di programmata intimidazione, ora e in futuro, l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali».
A essere colpita, quindi, è la volontà di soddisfare immediatamente un bisogno come quello di un tetto sopra la testa senza elemosinarlo, senza aspettare migliori politiche abitative del Comune di Torino.
A Porta Palazzo e Barriera, per più di anno, gli sfratti in cui era presente una resistenza non venivano eseguiti. Si è trattata di una moratoria di fatto.
E’ proprio questo che è andato di traverso a padroni e politicanti di ogni risma abituati ad essere oggetto di richieste e riverenze. Lorsignori si sono visti, invece, strappare dalle mani rinvii su rinvii ottenuti senza alcun tipo di mediazione.
Cosa distingue una moratoria come questa da una concessa dalla pubblica amministrazione? La seconda serve ad ammorbidire temporaneamente il bastone e a stemperare gli animi, confermando le gerarchie esistenti. La prima invece mira a estendersi e a generalizzarsi al fine di eliminarle alludendo a un modo diverso di conoscersi, stare in strada, organizzarsi.
Non per niente Davide Gariglio, a poche ore dagli arresti, si è detto finalmente soddisfatto dall’operato della polizia, per la risposta alla situazione di illegalità diffusa che era venuta a crearsi tra queste strade. E non è un caso che sia proprio un esponente del Partito Democratico a parlare. Il partito al potere in città, il partito del “piano casa”, il partito delle banche e degli sfratti, il partito con più sedi danneggiate degli ultimi mesi.
Se volete curiosare anche voi tra i testi oggetto dell’indagine degli acquirenti:
Un obiettivo minimo desiderabile (tratto da Invece, n. 16)
Torino: pezzi di città – parte I –Torino: pezzi di città – parte II –.