L’aria che tira

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Che aria tira tra Porta Palazzo, Aurora e Barriera di Milano, dopo l’operazione repressiva del 3 giugno scorso?
Se lo chiedono in tanti. Senz’altro gli inquirenti, i magistrati e i padroni di questa città, che sperano di aver fatto piazza pulita della resistenza che contraddistingueva questi quartieri. Ma anche chi, e parliamo di chi è in carcere, chiuso in casa o non può mettere piede a Torino, dell’aria di Porta Palazzo, Aurora e Barriera si è riempito i polmoni per tanto tempo, e che, adesso, dalla distanza, ne sente la mancanza.

Facciamo un passo indietro, a prima degli arresti.
Il clima era di attesa. Si preparava una nuova occupazione, già in cantiere da un po’. Gli sfratti sospesi erano molti e l’occupazione era una soluzione per i più. E allora che fare quando tanti vengono strappati via improvviamente e con loro se ne vanno mani, cuori e teste pensanti?
“Si fa lo stesso e si fa anche per questo.” È stata la risposta che l’assemblea degli sfrattandi si è data, dopo aver fatto la conta degli assenti. Gli unici a mancare all’appello sono state giusto le persone arrestate; quindi possiamo dire che, se l’intento di Polizia, Pm e giudici era quello, banale, di spezzare le gambe a una lotta, togliendo di mezzo un buon numero di facce note e spaventando coloro che, partecipandovi, la rendono reale, l’obiettivo non è stato centrato. La volontà di reagire a questo attacco e la necessità non ancora soddisfatta di avere un tetto hanno portato all’occupazione, il 12 giugno scorso, della palazzina in corso Giulio Cesare 45.

L’aria che si sentiva il 14 giugno tra le strade di questi quartieri, mentre sfilava il corteo in solidarietà agli arrestati, era di presenza. I balconi gremiti, i capannelli agli angoli, gli applausi; qualcuno si aggrega per un pezzo, qualcuno segue fino alla fine, ben oltre il limite dei quartieri amici, nonostante la pioggia. Invece la Polizia, ancora una volta, è una presenza sgradita a chi abita questo pezzo di città e, suo malgrado, deve farci i conti ogni giorno.

Al 45 di Corso Giulio ci si sveglia la mattina, di buon’ora. Si fa colazione tutti insieme, con vicini e solidali per scongiurare lo sgombero, e poi si lavora sodo per sistemare i molti appartamenti dello stabile. Le assemblee sono giornaliere, il viavai di gente è continuo. Persone che chiedono un posto, altre con lo sfratto. I rapporti si approfondiscono, con qualcuno si litiga, i legami si saldano e nuove intese sono dietro l’angolo. Se e quando uno sgombero arriverà, le persone che rimarranno senza un tetto saranno molte, si conosceranno bene e avranno questa esperienza alle spalle.

Per fare invece previsioni su cosa succederà nel prossimo periodo alla lotta contro gli sfratti tra Porta Palazzo e Barriera di Milano, invece, è troppo presto.
Certo è che questi arresti non hanno sconvolto troppo i rapporti, i ritmi e le intenzioni dell’ assemblea, come pensavano i questurini. Semmai ne hanno aumentato la determinazione, perchè un pensiero va sempre ai compagni di lotta in carcere. Gli scogli che si avevano prima sul proprio cammino sono ancora lì; l’aria che tira tra i palazzi dove si decide come gestire la città e chi la vive, è quella asfissiante della tolleranza zero. Lo ricorda lo sgombero, qualche giorno fa, della casa occupata di corso Traiano 128 abitata da quasi un anno da decine di famiglie, buttate in mezzo a una strada senza troppi complimenti. Inoltre l’utilizzo dello strumento dello sfratto a sorpresa rende senz’altro la resistenza davanti ai portoni meno efficace e la necessità di occupare sempre più impellente.

Certo è, comunque, che banche, investitori e i loro tirapiedi dovranno rifarsi i conti, perché qui, l’aria che si annusa, è quella di chi ha voglia di continuare a lottare, e i mezzi per farlo li conosce.