Social housing a Porta Palazzo
Oggi sempre più spesso si sente parlare di Social Housing, soprattutto su articoli o inserti di cultura che trattano di eventi in città e contemporaneamente di problemi sociali legati alla questione della casa. L’occhio attento alle retoriche mediatiche potrebbe rimanere non poco stupito dall’accostamento della questione dell’emergenza abitativa a una di attrazione culturale. Viene dunque da chiedersi cosa siano questi fantomatici Social Housing e come sia possibile che riescano a intrecciare discorsi apparentemente così diversi.
Partire dal nome per sviscerare quale sia il loro significato e impatto all’interno della zona in cui si insediano si rivela alla fin fine inefficace perché il termine include progetti molto diversi. Ecco perché piuttosto che analizzarli da un punto di vista complessivo, ci sembra più utile esaminare quali siano i singoli progetti che vanno costituendosi o che sono già in atto, in edifici sotto ai quali ci capita di passare nel quotidiano, per esempio nei giri per la spesa al mercato di Porta Palazzo.
Via Priocca 3: LuoghiComuni
LuoghiComuni, primo Social Housing a essere voluto dalla Compagnia San Paolo a Porta Pila, è stato pensato per soggetti sociali considerati appartenenti a una zona “grigia” a rischio povertà. Persone che potrebbero sia cadere in una condizione di miseria maggiore o, con qualche piccolo incentivo, sopravvivere al margine dei processi di mercato e non al suo esterno. Il social housing, in questo caso, si configura, tra le altre cose, come un processo in grado di disinnescare la pericolosità che queste persone potrebbero rappresentare nel caso di esplosioni di rabbia sociale. Ecco perché il target cui si fa riferimento nella domanda di accettazione comprende immigrati con capacità di reddito (seppur bassa), famiglie monoparentali, giovani coppie di artisti, ex carcerati che vogliano rinserirsi nel tessuto produttivo e sociale, single con contratti flessibili.
La possibilità di vivere in un’abitazione a canone calmierato s’accompagna all’imposizione di un insieme di norme di convivenza che trasformano lo spazio domestico in spazio d’impresa, e i rapporti di vicinato in relazioni economiche. Già la planimetria esprime questi obiettivi: stanze private ai piani superiori, al piano terra attività commerciali e ambienti comuni in cui conoscersi, regolare la socialità e soprattutto organizzare e disciplinare la propria forza lavoro in base alle richieste della San Paolo. Ebbene sì, vivere in questo Social Housing significa destinare parte del proprio tempo alla realizzazione dei progetti della Fondazione, per cui, ad esempio, si dovrà collaborare alla realizzazione di piccoli eventi a Porta Palazzo, pubblicizzarne le attività e distribuire volantini su offerte di mutuo per giovani o sul microcredito sociale. Queste attività hanno un duplice effetto: fanno sì che la mentalità d’impresa si inserisca nello spazio intimo della casa e trasformano un edificio in una forza di contaminazione per la zona circostante, facendone un avamposto della San Paolo che contribuisca alla progressiva scomparsa delle tradizionali forme di socialità “di quartiere”, sostituendole con attività facenti parte di progetti calati dall’alto, decisi a tavolino, capaci di creare profitto. In questo modo una cena in via Priocca pensata tra vicini di casa si trasforma in un evento food and beverage con uno sponsor dell’industria alimentare, la proiezione di film sotto la tettoia dei contadini nella promozione video di un progetto di rivitalizzazione urbana, un mercatino artigianale in un’occasione per cacciare i venditori abusivi da Piazza della Repubblica.
Aurora è un quartiere nel quale storicamente convivono poveri di diverse provenienze e la cui immagine più potente è proprio quella del grande mercato di Porta Palazzo, approdo commerciale e incontro di tentativi di sopravvivenza della ex città operaia. Oggi che l’interesse strategico sì è spostato dalla grande fabbrica di Mirafiori alle aziende hi-tech, agli eventi internazionali e alle start up, i quartieri a Nord del centro rappresentano un terreno fertile per attuare una bonifica sociale e impiantare i nuovi poli produttivi. Ed ecco che, in una zona ignorata da tempo dai grandi interessi economici, spuntano come funghi grossi piani urbanistici, sedi aziendali, scuole d’élite e gli investimenti diffusi della San Paolo.
Non è certo un caso, dunque, che LuoghiComuni sia stato realizzato in Piazza della Repubblica; non è un caso che tutte le iniziative che promuove siano finalizzate a impiantare una socialità di stampo economico e uno stile di vita adeguato all’immagine confezionata per la Torino Nord di domani. Naturalmente questo processo non può essere immediato e ha bisogno di disfare i modi in cui abitualmente la gente vive un quartiere e di promuovere, attraverso luoghi pionieristici come quello in Via Priocca, nuove occasioni d’incontro e nuovi modi di intrecciare legami, legati al profitto che se ne vuole trarre. Tutto è funzionale alla protezione dei capitali investiti e la promozione della zona in cui questi sono stati collocati è il primo modo per costruire valore, non solo immobiliare.
Ecco perché è così importante la collaborazione con associazioni, enti e agenzie che ad Aurora e Barriera di Milano si occupano di riqualificazione e valorizzazione. Nello specifico parliamo di The Gate, Case del quartiere, Urban Barriera e associazioni di giovani creativi che operano a livello locale e la cui ragion d’essere è quella della riqualificazione di quella vita che oggi anima Porta Palazzo e che non sempre rientra in un quadro di legalità e governabilità.
Perché, per tutta una serie di fattori sociali e culturali, queste strade sono terreni scivolosi. E allora chi possiede la città deve muovere i propri passi con cautela ideando posti come la residenza “social” dove attirare persone in difficoltà economiche, organizzare attività di promozione commerciale, disciplinare forza lavoro a costo zero, ma anche imporre una precisa condotta sociale. Quest’ultima si esprime non solo nel rispettare le regole dell’abitazione ma soprattutto nell’essere in grado di sviluppare una serie di capacità personali spendibili anche dopo il breve periodo di locazione (massimo un anno), magari nel provare a tirar su una piccola attività in quartiere usufruendo proprio del nuovo ricatto del microcredito che si è contribuito a pubblicizzare per vari mesi.
È questa la promessa di vita urbana che offre la San Paolo attraverso posti come LuoghiComuni: da un lato vendere case e servizi a chi di soldi ne ha parecchi in una città resa innovativa e attraente; dall’altro, fornire ad alcune fasce sociali deboli, in cambio di livelli di sfruttamento sempre più insidiosi e massicci, una rete di conoscenze e piccoli strumenti con i quali, come si diceva prima, continuare a trascinarsi e non sprofondare nell’improduttività dell’indigenza.
Se un sostegno dunque viene dato, è affinché la macchina del profitto abbia sempre “materiale umano” per farla funzionare. Ecco ciò che chiamano inclusione.
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