Tempi di permanenza e cambi di gestione
Il 25 novembre è diventata effettiva la legge che fissa a 3 mesi il tempo massimo di permanenza nei Cie. Non era esplicitamente indicata la sorte di quanti, a quella data, risultassero reclusi in un Cie da più di 90 giorni. A distanza di una settimana, ecco qualche dato: al Cie di Bari, su 79 “ospiti”, ne sono usciti 12; la percentuale si alza a Roma e a Torino: a Ponte Galeria su 59 ne sono usciti 22, mentre in Corso Brunelleschi 13 su 28. I poliziotti non sono rimasti però con le mani in mano e la popolazione dei Centri è stata prontamente rimpolpata, pur rimanendo al di sotto del numero di presenze di quando funzionavano “a pieno regime”. A Torino sono attualmente 30 i reclusi; nei giorni scorsi ci sono state alcune espulsioni immediatamente bilanciate da altrettanti ingressi.
Significativa la storia di un ragazzo marocchino che, scontati 4 anni nel carcere di Ivrea, viene portato nel Cie di Torino dove resta per più di 4 mesi. Liberato insieme a tanti altri il 25 novembre, fa rientro a Milano, dove lo aspetta la famiglia, libero ma con in mano un foglio di via che gli intima di lasciare l’Italia entro una settimana. Qualche giorno dopo, incappa in un fermo, proprio sotto casa. Non potendo negare il suo domicilio ed essendo privo di documenti, viene portato in Questura. La solfa è sempre la stessa: con le buone o con le cattive deve lasciare l’Italia. Non avendo abbandonato il Paese con le sue gambe, prima ancora della scadenza dei termini legali, la polizia gli fa di nuovo visita e lo riporta in Corso Brunelleschi.
A Roma, dove i reclusi sono circa un ottantina, ci sono novità, come ci segnalano alcuni blog e giornali. La gara d’appalto bandita più di un anno fa dalla Prefettura di Roma è stata vinta, come già a Torino e a Milano, dal raggruppamento temporaneo d’imprese composto da Gepsa e dall’Associazione Culturale Acuarinto, che, dal 15 dicembre, subentrerà ad Auxilium, e chiederà 28,80 euro per ogni recluso, contro i quasi 41 euro pro capite dell’ente gestore precedente. Oltre ai tagli previsti dal capitolato d’appalto (anziché garantire un presidio medico 24 ore su 24 si garantirà un presidio infermieristico; l’assistenza psicologica sarà ridotta; i reclusi riceveranno 2,5 euro al giorno anziché 3,5; si risparmierà sul catering e sui servizi di pulizia), che hanno messo in agitazione le principali sigle sindacali, preoccupate per le sorti dei 67 onesti lavoratori della struttura, la Gepsa, grazie alla sua ventennale esperienza negli istituti penitenziari d’Oltralpe, è piuttosto esperta nel far calare i costi delle strutture che gestisce. Ad esempio, a quanto risulta da un sopralluogo al Cara romano di Castelnuovo di Porto effettuato a settembre, gestito da Gepsa e Acuarinto dalla fine del 2011, il numero dei pasti preparati ed erogati è inferiore al numero dei richiedenti asilo, non vi è corrispondenza tra le ore di pulizia richieste dall’appalto e quelle che risultano dal calcolo delle ore effettivamente lavorate dal personale, né è mai stata comprata l’ambulanza prevista dal bando.
Anche il Cie di Trapani-Milo ha un nuovo ente gestore. A ottobre è tornata, dopo un paio d’anni, la Badia Grande, società cooperativa vicina alla Diocesi trapanese che aveva già fatto funzionare il Centro di identificazione ed espulsione da luglio 2011 ad agosto 2012 e che, a leggere il suo curriculum, ha le mani in pasta un po’ a tutti i livelli del settore dell’accoglienza degli immigrati. Cercando negli archivi dei siti internet è facile ritrovare le numerose denunce, giunte perfino dalla Comunità europea, per la sua gestione del Cara di Salinagrande, che doveva chiudere in settembre, oltre che l’accusa infamante di quello che era il principale referente delle strutture gestite dalla Diocesi, Don Librizzi. Il sacerdote direttore della Caritas di Trapani, approfittando del suo ruolo di membro della commissione territoriale per il rilascio dello status di rifugiato politico, estorceva prestazioni sessuali ai richiedenti asilo.