Sul luogo del delitto / 3
Ieri pomeriggio decine di complici e solidali con Erika, Paolo, Luigi e Toshi si sono ritrovati in una parte specifica delle strade di Aurora: quella in cui tante volte si svolgono retate contro i senza-documenti. Proprio per uno di questi episodi i nostri compagni sono stati arrestati, per aver provato ancora una volta a ostacolare il lutulento lavoro di deportazione che la polizia svolge meticolosamente in tutto il quartiere. L’incrocio tra Corso Giulio Cesare e Corso Emilia, il posto scelto per l’iniziativa, è tuttavia un punto ancor più sensibile nella mappa quotidiana di chi vive da queste parti. E se è vero che crocchi di persone tutti i giorni si radunano là vicino per far due chiacchere davanti ai vari mini market internazionali, kebabbari e frullaterie, lo è anche il fatto che molti tra loro, quelli senza carte in regola, devono sempre tener alta l’attenzione. Il pericolo di trovarsi all’improvviso la via serrata dai cellulari delle forze dell’ordine, di finire reclusi nel Cie, è sempre dietro l’angolo.
La polizia quando interviene in questo punto specifico della città, infatti, arriva sempre con ampio dispiegamento di forze perché – oramai si sa – fortunatamente non fila sempre tutto secondo le previsioni della Questura in centro.
Anche per il presidio di ieri, già da un’ora prima che iniziasse, ogni angolo di quell’incrocio e delle strade limitrofe è stato occupato da una camionetta blu. Seppur la cinquantina di compagni e compagne che hanno iniziato subito a intonare slogan contro le retate, i Centri di identificazione e espulsione, i recenti arresti, certo continuino a essere una grossa seccatura per i dirigenti di polizia e per i nervi di chi per loro brandisce il manganello, tanta esposizione di forza militare non si può che ricondurre alla loro consapevolezza rispetto a un territorio considerato generalmente ostile. Del resto in questi quartieri gremiti di disgraziati di varia genia c’è poco da star tranquilli se si è al servizio dei vari padroni della città. Infatti al presidio solidale a urlare contro la polizia c’è anche chi è sotto sfratto o dalla casa in cui viveva è già stato cacciato e di ragioni per avercela con loro ne ha a iosa.
Dopo circa due ore di chiacchere, volantinaggi e interventi al megafono che hanno raccontato ai passanti l’attuale situazione dei Cie in Italia, l’iniziativa stava per volgere al termine quando qualcuno ha pensato di far buon uso di una bomboletta spray portata per l’occasione. L’intento era quello di marcare le colonne di Casa Aurora, l’ex fabbrica tessile che si affaccia su Corso Giulio, con una scritta contro le retate e un’altra inneggiante alla libertà. Neppure il tempo di scrivere qualche lettera che subito una dei dirigenti incaricati della gestione della giornata ordina ai reparti mobili di circondare minacciosamente il gruppo.
Che il vice-questore in questione sia stata presa da un afflato protofemminista e abbia voluto dimostrare con vigore l’esercizio della sua autorità, la capacità di muovere decine di uomini con scudi e manganelli spiegati per accerchiare il gruppo di compagni intenti a fare una scritta su un muro di un edificio vuoto, non è dato sapere. Fatto sta che con un coup de théâtre o per meglio dire con una magia che s’addice più all’opera di un prestigiatore d’accatto che a un aspirante stratega militare, il presidio animato ma tutto sommato tranquillo ha preso una piega inaspettata.
Circondati da decine di celerini, compagni e compagne hanno ricominciato, con ancor più fervore, a intonare slogan affinché la polizia se ne andasse e dismettesse la sceneggiata messa in atto per un po’ di vernice. Qualcuno dei momentaneamente fermati ha attirato l’attenzione dei passanti e mostrato loro qual è il ruolo principale che le forze dell’ordine ricoprono ad Aurora e Barriera di Milano: proteggere gli interessi di padroni di palazzi vuoti e inutili e per contro cercare di reprimere chi decide di non tenere la testa bassa, chi fa saper loro quanto siano disprezzati. Visto che spesso e sovente la testardaggine non s’accompagna all’arguzia, i funzionari di polizia hanno continuato nella loro figura barbina, minacciato tutti e promesso convulsamente un’identificazione collettiva nel caso in cui non fossero riusciti a portarsi via chi nel gruppo, tranquillamente contornato di amici e complici, hanno ritenuto essere l’autore di quattro lettere sul muro. Mentre i dirigenti di piazza, dunque, si rendevano evidentemente ridicoli e molti dei celerini cercavano di capire invano il funzionamento delle nuove videocamere delle quali sono forniti, dall’altra parte della strada in molti sono stati a fermarsi per capire che stesse succedendo.
Ma come dicevamo prima, questo è un punto della città preciso e non solo perché spesso ospita le angherie della polizia.
È il punto in cui passano persone che vivono in quartiere, che non di rado si conoscono, che hanno gli stessi problemi dati da una vita di sfruttamento, che sanno riconoscere i propri nemici per strada.
È il punto in cui si è formato un capannello di persone a guardare la scena dell’accerchiamento e da cui è subito partito qualche grido di solidarietà.
L’innalzarsi un po’ timido di qualche voce di sostegno anche dall’altra parte della strada, con qualche giro di telefonata tra conoscenti e amici del quartiere subitaneamente accorsi, si è presto trasformato in una richiesta esplicita di liberazione dei trattenuti. Qualcuno dei solidali arrivati sul posto ha deciso di entrare nel cerchio e dar man forte con gli slogan e fare pressione dall’interno, qualcuno ha tentato di bloccare un tram, e a un certo punto alle grida dei solidali si è aggiunto anche il boato di un grosso petardone. Certo è che la situazione per la polizia è diventata sempre meno tranquilla proprio a causa di chi, giunto per caso o no sul posto, ha dimostrato solidarietà e vicinanza con chi è stato bloccato.
Un po’ per non saper che pesci pigliare, un po’ per la tensione data da una situazione inaspettata, i nervi degli agenti in borghese hanno iniziato a cedere tant’è che si sono resi protagonisti di un’azione che non ha bisogno di grosse referenze: è stato ordinato un inseguimento manganello alla mano contro un solidale che ha portato delle bottiglie d’acqua al gruppo imprigionato. Peccato che i caschi blu però non conoscano le strade come chi ci vive e l’inseguito si è presto dileguato nelle retrovie.
Quest’azione meschina, nonostante sia andata a vuoto, ha aumentato la concitazione dei compagni che hanno ripreso a chiedere la libertà e il ritiro dei poliziotti, i quali, repentinamente, per non peggiorare una situazione divenuta tesa anche oltre le fila della celere, hanno abbassato le proprie pretese. Se all’inizio con forza hanno chiuso tutti in una falange per portarsi via il reo imbrattatore, se hanno continuato a vuoto a chiedere l’identificazione di tutti, poi il silenzio, poi il passaggio uno alla volta al varco del cordone come presupposto di liberazione, alla fine hanno dovuto cedere.
Quando la gestione della faccenda ha raggiunto punte di ridicolo palpabile e i manifestanti continuavano con sempre più forza a burlarsi degli agenti promettendo loro la stesura di nuove barzellette di categoria, difatti, è arrivata la decisione di aprire l’accerchiamento e lasciar uscire i trattenuti. Un piccolo corteo si è formato con l’incontro dei solidali agli angoli dell’incrocio, corteo che ha imboccato Corso Brescia con alle spalle decine e decine di agenti, seguiti dai blindati, che sono avanzati con fare intimidatorio fin nelle vicinanze dell’Asilo occupato. Fermatisi all’altezza di via Aosta, celerini e dirigenti di piazza sono rimasti schierati per alcuni minuti in mezzo alla strada per poi ritornare mestamente sui loro passi e concludere così nel migliore dei modi la figura di merda iniziata un paio d’ore prima.
Un po’ ci stupiamo della sensibilità dimostrata per una scritta contro di loro ma siamo convinti che per queste vie avranno ancora modo di sentirsi offesi e non per un mero “basta” vergato con vernice rossa su una colonna bianca.