Ventunesimo secolo
«No, no, il colore della pelle non fa la differenza.
Siamo nel Ventunesimo secolo, si figuri!
E poi, in una moderna democrazia liberale come la nostra…»
Una piazza. Al centro della piazza c’è un monumento, ai lati ci sono dei portici.
Intorno al monumento si raduna gente, con striscioni e con bandiere. Altra ancora ne arriva. Né pochi né molti, un corteo come tanti.
I portici, invece, sono dipinti di blu. Gli uomini in divisa sono lì, assiepati già da un paio d’ore. Non è che chiudano la piazza, per carità. Non hanno neanche un atteggiamento troppo minaccioso: ma se ne stanno lì, a far colore, fermi, con gli scudi poggiati sui ginocchi.
Quelli al centro della piazza, ogni tanto, una occhiata gliela danno a quegli altri blu sotto ai portici. Ma così, distrattamente. Agli uomini in blu ci sono abituati: fanno parte – come dire? -, fanno parte del paesaggio quando parte un corteo.
Alle spalle degli uomini in blu, da una via che sbuca nella piazza, si avvicina un gruppo di persone. Saranno una decina, e arrivano decisi, come se avessero preso la rincorsa – o meglio: come se stessero trattenendo il respiro.
Poi vedono la barriera blu, e allora rallentano, sbandano un po’. Poi si avvicinano ad un muro e cominciano a discutere.
– Dai andiamo! – No, no, se è così non ci vengo. – Neanche io. – Ma dai, se siamo arrivati fin qui… – Sì, ma hai visto quanti sono quelli in blu? – Ma piantala! Ti ricordi quante ce ne siamo date con quelli lì giù al paese. Ed erano anche di più di questi… E poi c’è un sacco di gente: fermeranno mica noi! – A te magari no, ma a noi sì che ci fermano…
Dei dieci, in nove se ne tornano a casa.
L’ultimo, invece, trattiene il fiato, sorride, e svelto svelto supera i cordoni della polizia. Giusto in tempo: il corteo sta partendo, lui si mischia alla folla e finalmente si sente davvero al sicuro, anche se è arabo e clandestino.
In effetti «in una moderna democrazia liberale come la nostra» essere albini conviene.