Ribalta
I nostri telefoni, da qualche giorno, sono roventi: tutti ci cercano, tutti domandano di noi e vogliono sapere. Corteggiatissimi, quasi fossimo delle ballerine di prima fila, coi nomi sbattuti un po’ qua e un po’ là sulle gazzette cittadine, stiamo assaporando il gusto di una celebrità che non abbiamo mai voluto né ricercato. E anche l’audience di \\Macerie e storie di Torino\\, incredibile!, è alle stelle, manco ci fossimo messi a vendere calze a rete per corrispondenza.
Tra tutti, sono i giornalisti a tampinarci più fastidiosamente. Vogliono chiacchierare e farci chiacchierare, estorcerci dichiarazioni imbarazzate oppure proclami roboanti da tagliare e ricucire a modo loro sulle colonne dei quotidiani. Ma, è cosa nota, a noi i redattori di gazzette fanno un certo ribrezzo – un ribrezzo proprio fisico, che ci causa talvolta eritemi evidenti sulle braccia e sulla faccia. Li vogliamo lontani.
Ma non è che ci sia passata la voglia di parlare. E lo facciamo con i nostri strumenti abituali, con la nostra solita voce e senza cedere alle lusinghe di questa effimera celebrità.
Lo volete proprio sapere che cosa ne pensiamo della merda gettata al Cambio l’altro sabato, allora? Vi accontentiamo subito.
Noi, al solo pensiero dei velluti insozzati e di questo branco di madamine ingioiellate che scappano senza mangiare e con il naso turato ci siamo fatti un sacco di risate. Sì, perché anche il riso è cosa di classe e, insieme a noi, avranno riso tanti altri che abitano i bassifondi di questa maledetta città.
Ma non abbiamo riso, invece, quando abbiamo visto gli sguardi carichi di indignazione dei politici e della gente-per-bene – tutti intenti a misurar la merda caduta sulla suola delle scarpe di un imprenditore qualsiasi – e ci siamo ricordati di quanto quegli stessi sguardi erano vuoti e annoiati quando invece ci sarebbe stato da parlare, per esempio, di un algerino senza nome morto di botte dentro ad un Cpt. Non vogliamo sembrarvi preteschi: ma se proprio si vogliono misurare le altezze morali di tutti quelli che hanno preso voce in questa vicenda la figura migliore la fanno gli ignoti inzaccheratori, che hanno messo almeno un po’ di sé stessi in gioco per dare una mano a chi dentro le gabbie si sta giocando tutto in una lotta costante e disperata.
Certo, certo, – ci diranno i nostri amici rivoluzionari – tra il lanciar liquami e bruciare i titoli di proprietà la distanza è ancora troppo grande. Cosa rispondere? Che bisogna dare tempo al tempo, come si dice. Per ora, una cosa sola è certa: l’incursione al Cambio ha reso ancora più evidente una frattura, che è una frattura di classe. La prima a portare una parola di conforto alla moquette impregnata di merda è stata, guarda caso, proprio Evelina Christillin. Rampolla di buona famiglia valdostana, compagna di scuola di Margherita Agnelli, con l’operazione “Olimpiadi 2006” la Christillin si è gonfiata talmente le tasche da poterci andare tutte le sere a cena, al Cambio, da qui ai prossimi vent’anni – e a spese di gente che ora come ora il parmigiano se lo può permettere solo se ha la prontezza di metterselo sotto il giaccone prima di passare alle casse del supermercato. E non è neanche un caso che il primo a dire una cosa intelligente sulla pericolosità – in prospettiva – dell’episodio del Cambio sia stato il sindaco Chiamparino: conosce bene la città che governa e sa che la gente, a forza di tirar la cinghia, prima o poi perde le staffe. Che poi, rotto il freno, gli impoveriti della città se la prendano proprio contro i ricchi (e non, come tanti vorrebbero, con chi sarà ancora più povero ed escluso di loro) per noi è una prospettiva accattivante. Per lui – e per la Christillin – un incubo nero nero. Ed è proprio questa paura, evidentemente, ad aver generato tutto il clamore che ha seguito l’irruzione di sabato scorso.
Vedete che almeno quattro righe di teoria siamo ben riusciti a tirarle fuori da quella secchiata di merda. E tante altre se ne potranno cavare ancora. Non è difficile: basta tenere gli occhi bene aperti ed evitare le luci, abbaglianti e fallaci, della ribalta.
(Intanto che vi parliamo gli uomini del vicequestore Petronzi (nella foto) se ne stanno qui sotto ad aspettarci. In questi giorni ci ronzano attorno come mosconi. Noi, come d’abitudine, ci prendiamo il lusso di riempirli di male parole tutte le volte che incrociano i nostri sguardi in mezzo alla strada. E questo non fa altro che aumentare le pacche sulle spalle e gli sguardi d’intesa che riceviamo nei nostri quartieri e tra la nostra gente – e anche questa è una questione di classe. Li ringraziamo del servizio.)