Un corteo che c’è
È il primo pomeriggio di sabato, in corso Giulio Cesare. Improvvisamente si materializzano una cinquantina di manifestanti, armati di striscioni, volantini, megafono, manifesti e vernice. Bloccano l’incrocio e cominciano a parlare, a spiegare perché sono lì e perché protestano; intanto qualcuno oscura una telecamera di sorveglianza e si prepara ad accecare tutte quelle che troverà sul suo cammino. Poi partono per un lungo giro tra Borgo Dora e Porta Palazzo: è un vero e proprio piccolo corteo. La Celere non c’è, e neanche la Digos: per questo corteo nessuno ha chiesto l’autorizzazione, né è circolato alcun appello. Un corteo che c’è e basta, blocca il traffico e gira industurbato a Porta Palazzo fino nel centro del mercato e poi dentro a Borgo Dora. L’aria si riempie di discorsi e slogan, i muri di manifesti e scritte: contro le espulsioni, contro la violenza della polizia («Zelante come uno sbirro che uccide», recita uno degli striscioni), contro gli sgomberi, contro i razzisti della Lega e contro la “sorveglianza speciale”. Si parla molto dell’espulsione di Adel, ma anche della morte di Stefano Cucchi e dell’arresto in Grecia di Alfredo Bonanno e Christos Stratigopoulos. Dopo un’oretta di strada, i manifestanti si disperdono. La volante che aveva seguito il corteo – lasciandosi depistare varie volte e senza mai osare avvicinarsi – rimane da sola. Solo dopo un po’ arriverà la Digos e si apposterà a sorvegliare il niente, tentando di digerire l’ennesimo smacco.