Sette secondi, netti
A soli tre giorni dalla maxi-evasione di 17 clandestini, l’altra notte il copione dietro il muro della ex Polonio si è ripetuto. Questa volta sono riusciti a darsi alla macchia in sette, tutti nordafricani, mentrte 14 sono stati ripresi dalla forze dell’ordine subito allertate. Le modalità più o meno sono sempre le stesse: viene forzata una grata nell’atrio della stanza, si accede al tetto, e da quel punto scavalcare le barriere e fare un volo di quattro metri prima di dileguarsi nella campagna circostante borgo Trevisan è un gioco da ragazzi. Possibile che una struttura costata ai contribuenti 17 milioni di euro sia così vulnerabile? Secondo Angelo Obit, segretario del Sap – il sindacato autonomo di Polizia – la situazione è gravissima. Non bastavano le mille tensioni interne, le continue sommosse, gli operatori della Connecting People tenuti praticamente in ostaggio dai clandestini, la totale anarchia di alcuni padiglioni della struttura. Ora si prospetta un’estate di fughe continue. «Tutti da piccoli abbiamo giocato a guardie e ladri – sorride amaro Obit – ma nessuno di noi pensava, in età adulta, di dover anche rincorrere il clandestino arrampicatore in fuga. È lo sport che sta prendendo piede al Cie. La realtà – prosegue – invece vede una struttura che opera con una riduzione del 36% rispetto alla capienza ufficiale e con i sistemi di sicurezza accecati, con “leggerezze” nella gestione da parte di qualcuno che invece dovrebbe coadiuvare le Forze dell’ordine e con barriere che non si è ancora fatto nulla per rendere invalicabili». «Siamo al paradosso – denuncia Obit – quelle barriere si scavalcano al massimo in sette secondi. Nel frattempo gli operatori delle forze di polizia in servizio nella parte più esterna della struttura cercano di bloccare quanti più fuggitivi possono, ma è fisicamente impossibile quando i numeri sono elevati». Eppure è da mesi che il Sindacato autonomo di polizia suggerisce di alzare le barriere rivestendole internamente di plexiglass così da non consentire il loro scavalcamento. «In alternativa, internamente, prima delle barriere potrebbe essere scavato un fossato da rivestirsi in gomma così da evitare che qualcuno si faccia male». Ma c’è anche di peggio. I lavori di ripristino dei sistemi anti fuga sono congelati da oltre un anno. L’iter mancherebbe dell’approvazione del Capo dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, a causa del trasferimento del prefetto Mario Morcone a direttore dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità. Insomma, a Roma non c’è più chi decide. Obit prosegue: «Forse si sta aspettando che qualcuno si faccia veramente male per prendere atto delle condizioni del Cie?» e rilancia: «Perché non si pensa ad utilizzare la struttura interamente come Cara, specializzandolo nell’accoglienza dei richiedenti asilo?».
Dal Piccolo del 24/05/10
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