Senza chiedere il permesso

In seguito alla rivolta avvenuta nella notte tra il 3 ed il 4 giugno scorso all’interno del Cie di Ponte Galeria, 8 reclusi, accusati di esserne stati gli istigatori, sono stati arrestati e si trovano attualmente sotto processo con l’accusa di resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento. Il 22 luglio prossimo, mentre in Tribunale si terrà la seconda udienza del procedimento, ci sarà un presidio in loro solidarietà.  L’appuntamento è per le 10 del mattino in Piazzale Clodio. Di seguito l’appello che lancia la giornata.

“Fino a quando gli immigrati annegano nei nostri mari oppure si accontentano di raccontare storie lacrimevoli e commoventi, il buon padrone bianco sente il dovere di indignarsi e magari di protestare. Ma non appena essi mostreranno di prendere l’iniziativa senza chiedere il permesso, ben pochi saranno disposti a seguirli.”

La macchina delle espulsioni messa in atto dagli stati, oltre a creare un business economico intorno alla condizione di immigrazione forzata, serve ad accrescere il grado di ricattabilità degli individui, immigrati e non, costringendoli ad accettare infime condizioni di vita e di lavoro. Per guadagnare al massimo, il padrone ha bisogno di creare una categoria di persone da tenere sempre in pugno, sotto continua minaccia (l’internamento e la deportazione ne sono un esempio). Prima sfrutta i futuri migranti fino all’osso nei loro paesi e poi li attende nei cosiddetti paesi civili per continuare a speculare sulle loro spalle: in questo contesto il padrone ha sempre a disposizione una forza-lavoro terrorizzata e pronta a tutto per sopravvivere e in oltre sa bene che ogni sfruttato pur di non rimanere escluso dal mondo del lavoro si ritrova nella condizione di abbassare costantemente la testa.
Così, sotto il ricatto delle leggi e dalla propaganda razzista gli immigrati continuano ad essere messi all’angolo e resi schiavi: prima sfruttati come manodopera a basso costo fino quando il mercato lo richiede, poi reclusi e infine deportati, nei loro paesi d’origine. Tutto questo al fine di garantire continuità al privilegio della classe dominante, ad un sistema economico che non potrebbe trovare sviluppo se non ci fossero ampie masse di uomini e donne da sfruttare.
Per questo motivo ovunque nel mondo nascono rivolte spontanee ed autorganizzate per opporsi alla schiavitù, allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, allo sfruttamento dell’uomo sulla terra.
Oppressione, controllo sociale, odio per il “diverso”, guerra tra poveri, sono elementi indispensabili per chi ha intenzione di non rinunciare ad arricchirsi sulle spalle dei poveri e mascherare la propria ingordigia tra le maglie della cosiddetta democrazia.
Lager dunque, nuovi lager della democrazia vengono definiti i C.I.E., la loro essenza e la gestione che ne consegue ricordano quelle dei campi di Hitler e Stalin (paragone che qualche immigrato detenuto osa fare per definire la sua prigione). Luoghi sorvegliati costantemente dalla presenza di squadrette (polizia e militari armati) in cui vengono rinchiuse persone rastrellate dalle strade senza che neanche loro ne comprendano il motivo.
Tenute costrette in delle gabbie in condizioni vessatorie a subire continue umiliazioni.
Come nel resto del mondo, visto che la macchina delle espulsioni è mossa da interessi globali e ha dunque prigioni sparse in giro ovunque sul pianeta, anche in Italia, in particolare dall’introduzione delle norme varate con il pacchetto sicurezza, molti/e reclusi/e nei CIE hanno alzato la testa scegliendo di non subire passivamente e nel quotidiano i soprusi del potere.
Poco più di un anno fa si consumava una rivolta durante la quale veniva incendiato e reso inagibile il CIE di Lampedusa. Da quell’episodio in poi, non è praticamente passato giorno durante il quale non si siano registrati atti di protesta e rivolta all’interno dei CIE di tutta Italia. Nel corso del tempo e a seconda dei contesti i/le reclusi/e hanno risposto in maniera
diversa alla miseria della loro condizione e all’infamia dei loro aguzzini.
Scioperi della fame, della sete, atti di autolesionismo come tagli sul corpo o l’ingoio di oggetti, evasioni, gesti individuali di ribellione e vere e proprie rivolte collettive.
Rivolte come quella avvenuta a Roma il 15 marzo 2010, dove sono stati procurati centinaia di migliaia di euro di danni alla struttura oppure a Gradisca d’Isonzo dove, dal 2006, i reclusi hanno distrutto gran parte del centro collezionando più di un milione di euro di danni materiali.
Devastazione dell’inferno nel quale sono costretti a sopravvivere che in alcuni casi ha portato alla chiusura della struttura stessa, come nel caso del lager di Caltanissetta e quello di Crotone.
A questi episodi sono susseguite violente reazioni da parte delle forze dell’ordine che non si sono mai risparmiate, hanno pestato a sangue (attività comunque praticata indiscriminatamente e in continuazione all’interno dei CIE, come altrove del resto) e messo in pratica vere e proprie persecuzioni nei confronti dei presunti “responsabili” dei disordini, i quali sono stati trasferiti, rimpatriati, minacciati, incarcerati.
La segregazione, come strumento empirico della repressione e del controllo sociale, si rinnova fino a progettare nuovi CIE a prova d’evasione: proprio quando il recluso viene chiamato “ospite del centro” e l’evasione non può essere considerata un reato, il sistema si inventa un nuovo inferno tecnologicamente avanzato. Da qui nascono i nuovi progetti di costruzione e ristrutturazione dei CIE su tutto il territorio nazionale e nel caso del lager di Ponte Galeria, bottino della cooperativa Auxilium, inizia in questi giorni una ristrutturazione della sezione maschile che comporta, nella prima fase, il trasferimento e il rilascio “con foglio di via dall’Italia” di tutte le persone rinchiuse.
Il 22 Luglio al tribunale di Roma verranno processati gli 8 immigrati imputati per la rivolta del 3 Giugno all’interno del lager di Ponte Galeria a Roma mentre, dopo 3 mesi, è ancora in corso il processo per i 19 immigrati incolpati per quella scoppiata il 15 marzo. Queste denunce si vanno ad aggiungere alle innumerevoli manovre repressive dello stato in cui
vengono trascinati i migranti che osano ribellarsi, come chiunque osi con atti coscienti o istintivi opporsi alla brutalità del dominio. Dunque, in un sistema in cui la normalità sono i militari nelle strade, le assoluzioni degli assasini in divisa, lo sfruttamento dell’uomo e della terra e in cui solo una piccola parte di eletti ha diritto a far sentire la sua voce, è naturale e umano che chi viene schiacciato si ribelli con ogni mezzo, con quello che in quel momento ha a disposizione.
Per tutto questo noi scegliamo di sostenere i rivoltosi di Ponte Galeria.