Una storia già scritta? Alcune note sul processo agli anarchici salentini
L’idea e la legge, la passione e la quiete sociale.
Spesso in questa storia vi sono state forti contrapposizioni tra chi professava liberamente le proprie idee, e chi tentava di reprimerle; tra chi si batteva con determinazione perché degli individui stranieri non fossero reclusi, solo per non avere un documento in regola, e chi invece sbandierava quella reclusione come mezzo per ottenere più sicurezza. Da un lato gli anarchici, dall’altro la polizia, la magistratura, la Chiesa, che gestiva un Cpt, giornali e politici vari. Eppure questo, non può che essere un quadro riduttivo di ciò che vi è stato e vi è in gioco.
Nel marzo 2005 il centro di permanenza temporanea per stranieri irregolari gestito dalla curia leccese chiude definitivamente. Gli ultimi anni della sua esistenza hanno visto in continuazione scioperi, rivolte, fughe da parte degli immigrati all’interno. All’esterno l’opposizione tenace da parte di alcuni anarchici e la contestazione di altri gruppi. Nello stesso tempo diventa di
pubblico dominio, la gestione violenta ad opera del direttore Don Cesare Lodeserto, di alcuni suoi collaboratori e dei carabinieri all’interno. Lodeserto viene arrestato e poi condannato, tra le altre cose, per violenza privata e sequestro di persona. Ma lo Stato non poteva permettere di processare se stesso e i suoi amici e lasciare liberi i suoi più acerrimi nemici. Così, nel maggio 2005, anche alcuni anarchici vengono arrestati con l’accusa di associazione sovversiva e molti altri inquisiti. Dopo una lunga detenzione quattro anarchici vengono condannati per associazione a delinquere, altri tre per reati minori. In otto vengono completamente assolti. Le condanne sono pesanti ma i compagni sono ormai liberi e continuano ad occuparsi dei loro
interessi. Cala il silenzio su tutta la vicenda, compresi i vari processi di Lodeserto e company. Intanto i Cpt vengono trasformati in Centri di Identificazione ed Espulsione, le carrette del mare vengono subito rimandate indietro verso altri lager, la caccia allo straniero e al diverso diventa sempre più cavallo di battaglia delle politiche securitarie e xenofobe dei governi che si succedono. I Cie divengono un meccanismo fondamentale per il potere, per gestire con la reclusione e la repressione sia una manodopera ricattabile e in eccesso (gli stranieri irregolari), sia per contenere un’umanità indesiderata. A Lecce di tutto questo si rincorrono gli echi, fino a che non ricominciano gli sbarchi dei disperati stranieri che riportano in auge la questione. Ma non è certo quest’ultimo aspetto ad essere determinante per i giudici che il 9 dicembre emetteranno la sentenza d’Appello nei confronti degli anarchici sotto processo. Molto altro forse si muove sotto e al di là di questo processo, almeno tenendo conto della modalità con cui si è svolto. Il primo presidente, dopo aver rinviato per varie udienze, ha chiaramente manifestato l’intenzione di non voler andare avanti e passare ad altri la patata bollente. Il secondo ha rinviato per tre volte la sentenza, assumendo pretesti alquanto “anomali” per la procedura corrente.
Il motivo non è facile da individuare ma potrebbe essere cercato nella volontà di peggiorare la condanna di primo grado a carico dei compagni. Se i Cie sono così importanti per il dominio, e lo sono, condannare pesantemente chi ad essi si è opposto duramente, può essere da monito per chi continua a portare avanti queste lotte. D’altro canto i Cie rappresentano una spina nel fianco, date le numerose proteste che si ripetono all’interno e all’esterno sia in Italia che nel resto del mondo. La storia di un ex Cpt, definitivamente chiuso, come di un Cie che brucia, non sono buona propaganda per gli Stati. E poi vi sono le questioni locali. Il potere e l’immagine della curia leccese offuscato da tutta la vicenda. L’influenza e la affiliazione dei suoi uomini con personaggi politici molto potenti a livello istituzionale (come può essere un Sottosegretario all’Interno). Una procura assetata di vendetta verso alcuni amanti della libertà. La necessità di reprimere chiunque non si adegui alle regole. La fine della storia? Si vedrà! Per il momento possiamo solo dire che circostanze e personaggi non sono puramente casuali, ma si possono trovare in qualunque storia in cui l’autorità si scontri con l’autodeterminazione di chi non chiude gli occhi di fronte all’oppressione e all’ingiustizia. In gioco non vi è solo la repressione di qualcuno, ma la maggiore libertà per tutti.
Alcuni anarchici
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