Lampioni e chiarezza
Poco più di due settimane fa pubblicavamo, qui tra le colonne di //Macerie e storie di Torino//, un piccolo post nel quale vi raccontavamo dell’inaugurazione dei lampioni regalati da Maroni al Comune di Gradisca e, di passaggio, descrivevamo pure il parterre istituzionale che ha partecipato all’evento e in particolar modo l’intervento del parroco, che aveva approfittato dell’occasione per lanciare un progetto di integrazione diretto agli ospiti del Cara e promosso nei locali parrocchiali da alcuni gruppi pacifisti della zona. Il caso – beffardo – ha voluto che proprio la notte successiva alla pubblicazione di quelle righe sul nostro blog, mani ignote tracciassero sulla facciata appena restaurata del Municipio isontino una bella scritta: «No Cie né qui né altrove».
Quattro righe nella rete, una scritta su un muro e… apriti cielo! I giorni successivi sono stati tutto un susseguirsi di dichiarazioni indignate, conferenze stampa, accuse, precisazioni, prese di distanze, amplissime citazioni di //Macerie// sulle pagine dei giornali locali. Noi, a veder tutto questo baccano, siamo rimasti tra il divertito e lo stupefatto: siamo abituati alle dinamiche della metropoli, dove i muri son ricolmi di graffiti e dove c’è un sacco di gente che scrive e scrive – su internet, sui manifesti, nei giornaletti – senza che per questo si muova foglia. Sulle prime pensavamo di propinarvi una bella tirata delle nostre su quanto questo baccano gradiscano sia virtuale e fuorviante, e su quanto di più e di meglio servirebbe per metter davvero e concretamente il bastone tra le ruote dei gestori e dei committenti dei Centri.
Poi invece abbiamo deciso di tacere qualche giorno in più, per tentare di vedere cosa si sarebbe sedimentato una volta posatesi le voci dei primi giorni. Riprendiamo solo adesso, allora, a dire la nostra su quei lampioni e, più in generale, sul concetto di chiarezza.
Gradisca non è come Torino. A Gradisca tutti sanno che ai bordi del paese ci sono delle gabbie con della gente rinchiusa dentro. Tutti sanno che ci sono delle rivolte, delle fughe, e tutti sanno che la polizia dentro le gabbie qualche volta si prende delle legnate e tante altre volte invece le dà. Oltre a saperle, queste cose, la gente di Gradisca pensa pure che queste cose le sappiano tuttti, e che i turisti a visitar Gradisca non ci vadano perché c’è il Centro, e addirittura che in tutta Italia il nome di Gradisca sia indissolubilmente legato a reclusi, ad evasioni e a sbarre. A differenza di Torino, insomma, tutti sanno bene o male cosa sia un Cie e, di più, sembra proprio che nessuno se lo voglia tenere. Sottolineamo questo aspetto perché a Gradisca quel lavoro di informazione e sensibilizzazione che in tanti immaginano come salvifico nelle nostre città è come se fosse già stato fatto. Nonostante questa conoscenza diffusa, però, il Cie di via Udine c’è e funziona e se è ridotto a un colabrodo smozzicato è merito di generazioni e generazioni di reclusi e non certo di gradiscani-bene-informati né tantomeno merito nostro, del movimento. Non che non serva a niente raccontare cosa siano i Centri – noi qui lo facciamo quasi ossessivamente! – ma non ci si può illudere neanche che il punto centrale della questione sia l’informazione, soprattutto quando è sganciata dalla chiarezza delle prospettive, delle ipotesi di lotta.
A Gradisca, tra i contrari al Centro c’è addirittura il sindaco, cosa che a Torino, per quanto ci si sforzi, probabilmente non succederà mai. E quando qualcuno ha tracciato la famosa scritta sul suo Municipio il sindaco di Gradisca si è offeso tantissimo, l’ha presa quasi sul personale. Siamo sempre stati contrari al Centro! – ha dichiarato ricordando le battaglie passate – ma «mai una volta abbiamo illuso la nostra gente che potesse essere chiuso». Infatti, sul filo della disillusione, il sindaco-contrario-al-Cie è stato ben contento di farsi regalare da Maroni 640mila euro per illuminare i dintorni del Centro, talmente contento da aver invitato il ministro in persona all’inaugurazione. Ovviamente, a Gradisca tutti sanno che quei lampioni servono ad evitare che nelle notti di evasione i fuggiaschi se la squaglino, o magari che si intrufolino in qualche casolare spaventando i residenti. Altrimenti non si spiegherebbe perché mai l’illuminazione pubblica di alcune strade di periferia di un comune piccolo come quello venga finanziata dal ministero degli Interni, e per di più nell’ambito del “Pacchetto sicurezza”, quando invece l’illuminazione del centro storico – lontano dal Cie – sarà a carico… della Regione. E non si spiegherebbe come mai chi è stato escluso di pochi metri dalla luce dei nuovi lampioni ora scriva ai giornali parole come queste: «[…] noi cittadini di serie “B” di via Martin Luter King (quelli alle spalle della Pizzeria Rusticana – zona altamente pericolosa perché si trova a poche centinaia di metri dal Cie – Cara) non abbiamo un solo lampione. […] In passato si sono verificate già situazioni di pericolo a causa delle fughe dal Centro di alcuni extracomunitari. La via è buia e la disperazione dei fuggitivi potrebbe sfociare in atti di violenza, per fortuna o per caso oggi ancora non verificatisi.» Insomma, a Gradisca tutti sanno che quei lampioni, realizzati dalla ditta Presotto Impianti di Pordenone, sono semplicemente una estensione dei sistemi di sicurezza del Centro, un modo come un altro per rendere quel muro ancora più alto e invalicabile.
Essere contrari ai Centri vuol dire come minimo desiderarne la chiusura adesso e desiderare la libertà – ora! – per chi vi è rinchiuso, e quindi vuol dire essere contrari pure a quei lampioni. Il problema è che il Sindaco di Gradisca è un sindaco, ed è proprio in forza del suo ruolo che non può mai essere chiaro. Deve barcamenarsi tra i rapporti col Ministro, gli interessi dei padroni e dei padroncini della zona, le paure dei residenti: e poi come si fanno a rifiutare 640mila euro? Non abbiamo dubbi che il sindaco di Gradisca abbia molto da dire sulla gestione dei flussi migratori che fa il Governo, e avrà pure tante alternative da proporre. Ma, essendo un sindaco, l’unica alternativa che non può far sua è proprio l’unica che sta a cuore a noi, l’unica chiara fino in fondo: la libertà.
A Gradisca, ad essere contrario al Cie c’è pure il parroco, don Maurizio Quaglizza, ed era pure lui col sindaco a benedire i lampioni di Maroni. Noi siamo dei vecchi miscredenti e non diamo molto peso a novene e benedizioni, ma essere su di un palco accanto a politici, funzionari, militari e poliziotti è un fatto ben concreto, e molto più di qualsiasi citazione della Genesi: perché quelli sono i politici che propagandano la caccia ai senza-documenti, quelli sono i funzionari che timbrano i fogli delle espulsioni o che campano sulla reclusione dei clandestini, e quelli sono i militari e i poliziotti che ordinano le cariche e che impugnano i manganelli quando i prigionieri si ribellano. Poi si può anche dire in giro che si passava lì di fretta tra una messa e l’altra e che forse non ci si è capiti bene (leggetele, le ragioni di don Maurizio, nella lettera affettuosa che ha scritto a //Macerie// e che ha ripubblicato sul sito della parrocchia). Ma è una questione di chiarezza: in quella compagnia lì uno che è contrario ai Centri non ci può mica stare. Altrimenti si riporta la questione dei Cie ad una faccenda di opinioni inutili e sterilizzate – «ci dica la sua Maresciallo!», «e lei che ne pensa, Signor Questore?»… -, separate da ciò che combina ogni giorno chi le esprime e dal fatto concreto che a pochi metri di distanza ci sono degli esseri umani che ne tengono rinchiusi degli altri. E la chiarezza è ancora più essenziale quando si è parte di una istituzione, la Chiesa, che non si è mai tenuta troppo lontana dai Centri, arrivando addirittura a gestirne direttamente uno (il vecchio “Regina Pacis” di San Foca) o a coprire i gestori di altri (della Misericordia ve ne abbiamo già parlato abbondantemente, in queste pagine). L’unica idea luminosa, rispetto ai Centri, è quella di spalancarne i cancelli e la tragedia vera è proprio che non stiamo riuscendo a farlo. Il resto, come si usa dire, sono chiacchiere più o meno metafisiche.
Il Sindaco, il Parroco; e tutti gli altri? Noi, da qui, non possiamo saper bene cosa si muova concretamente a Gradisca e in Friuli rispetto al Centro di via Udine: ci sembra non molto, ma questo non è certo colpa di chi fa muovere quel poco che si muove. Quello che ci sentiamo di dire, però, è che il bisogno impellente è proprio quello della chiarezza, proprio adesso che si discute della ristrutturazione del Centro (che continua a slittare), e proprio perché a Gradisca quasi tutti si dicono contro il Cie. O si sta chiaramente dalla parte di chi ha costruito i Centri, di chi li difende, di chi li gestisce, di chi li ristruttura; oppure dalla parte dei prigionieri, che stanno smontando il Centro giorno dopo giorno, che si rivoltano, che pianificano fughe e che vengon presi a bastonate. Che senso ha invitare alle proprie iniziative di informazione contro i Cie, citiamo pari pari, «il Sindaco di Gradisca, il Sindaco di Sagrado, il Sindaco di Cormons, il Sindaco di Udine, il Presidente della Provincia di Gorizia, il Direttore del Cie – Ente gestore Connecting People, il direttore del Cara – Connecting People, il Questore di Gorizia – responsabile ufficio stranieri, il Prefetto di Gorizia […e vi risparmiamo la parte di lista dedicata alle Autorità sanitarie e religiose]»? Ha un senso solo: che si confonde la lotta per la chiusura del Cie con qualcos’altro che non si capisce bene, ma che probabilmente è l’apertura di una specie di Tavolo istituzionale sulle condizioni di vita nel Cie. È credibile, per esempio, che io inviti ad un convegno Luigi di Ciello – il baby-pensionato dell’Esercito che dirige il Centro – per dirgli che lo vorrei vedere al più presto disoccupato? No, probabilmente lo invito per rinfacciargli, anche duramente, che fa male il suo lavoro e che tratta male “gli ospiti”. E lo stesso discorso vale per quasi tutti gli altri invitati “eccellenti” della lista cui vi accennavamo.
Nella stessa maniera: che senso ha elaborare progetti di “integrazione” e di conoscenza per i richiedenti asilo ammassati nel Cara di Gradisca in collaborazione con la parrocchia del paese? Del parroco e della parrocchia abbiamo già parlato, ma saprete pure che i Cara sono l’altra faccia del Cie e che in particolar modo quello di Gradisca è fisicamente insieme al Cie, ed è gestito dallo stesso identico Ente. Se lavori in un progetto del genere, se lo presenti in pubblico e ci ricami in qualche maniera sopra un discorso, come fai poi a scontrarti (perché una lotta con un fronte tanto netto come quello dei Cie questo necessita) con Connecting People, che gestisce i due Centri? O con la Prefettura, che decide del futuro dei richiedenti asilo che intanto hai conosciuto? O con i poliziotti che stan di guardia ai lati di tutti e due i muri? E poi, come fai a criticare pubblicamente il prete che benedice i lampioni di Maroni, se questo ogni mercoledì ti passa le chiavi del salone parrocchiale?
Badate bene: non è che guardiamo con scandalo una iniziativa come questa dei pomeriggi in parrocchia. Ma che non la si metta in mezzo al movimento contro ai Centri, e che il movimento contro i Centri non dia troppa retta a chi la organizza. Semplicemente, perché sono due cose diverse, e metterle assieme vuole dire perdere ogni possibilità di chiarezza rispetto, ad esempio, alla prospettiva concreta che, una volta chiuso per restauro, il Cie di Gradisca non apra più. Una prospettiva ambiziosa senza dubbio, ma che non va barattata con quella di chi – in buona fede o meno – si accontenterebbe di vederlo riaprire un po’ più in là, o un po’ più umano, o un po’ più aperto e trasparente.
E questo lo diciamo a beneficio di tutti quei compagni che sono sinceramente per la chiusura dei Centri, ma che poi non sapendo bene cosa fare finiscono con l’accompagnarsi con il primo che capita: il giornalista della testata locale, il Consigliere regionale del partito che ha inventato i Centri, oppure anche con associazioni eque e solidali tanto piene di buona volontà quanto di finanziamenti pubblici, erogati dagli stessi Enti che finanziano gabbie e lampioni.
E, infine, che sia chiaro: queste considerazioni non sono frutto di una qualche forma di purismo identitario. Ovvero qui non stiamo dicendo «siamo anarchici, quindi siamo nemici dello Stato, della Chiesa e di chi fa accordi con loro». No, l’ideologia e le patacche le lasciamo volentieri ad altri, che possono senza dubbio vantare più “A cerchiate” di noi. Al contrario, queste considerazioni nascono direttamente dalla storia dell’opposizione ai Cpt, soprattutto dal momento in cui una manciata di “oppositori” – una volta compreso che oramai i Centri stavano aprendo e sarebbero rimasti aperti – hanno cominciato a discutere seriamente se farseli dare direttamente in gestione in modo da garantire “diritti umani” ai senza-documenti e “autoreddito” a loro stessi e poi da quando altri ancora hanno finito col fare il filo a quei ministri che promettevano di “superare i Centri” e a quei presidenti di Regione che spergiuravano sul proprio impegno contro le gabbie. I risultati li sappiamo: l’afflosciamento del movimento e la permanenza indisturbata dei Centri.
Tutto questo avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Non dimentichiamocene.