I sindaci leghisti e la scoperta del dissenso
Verona, 07 giugno 2010 – I clandestini. Incubo e forza, per la Lega. Disgrazia e vantaggio, croce e delizia, assedio e voti, ira della Chiesa e consenso di popolo, ragione di lotta e «brand» di successo. Ma stavolta la guerra al nemico numero uno del Carroccio (e non solo, ma l’altrui contrarietà è più istituzionale o blanda) rischia di minare la stessa tenuta del partito e di disvelare quanto difficili possano essere la gestione del potere e l’esercizio della coerenza. Esercizio nella fattispecie orgogliosamente rivendicato ma che per la prima volta in modo «pubblico» mette pesantemente a nudo le contraddizioni e il dissenso in un movimento che proprio grazie alla nuova centralità politica assunta dovrà sempre più allontanarsi da quel modello «di lotta e di governo » incarnato in servizio permanente effettivo.
La «fattispecie» è la realizzazione del Cie veneto, acronimo di Centro identificazione ed espulsione e che da Lampedusa a Gorizia rappresenta il limbo nel quale albergano, oltre ai presunti irregolari che battono bandiera extracomunitaria, tutte le contraddizioni di un Paese di ex emigranti scisso fra il neo-cattivismo dell’ala radicale del centrodestra e il buonismo cattolico e di sinistra poco propenso a credere che la logica del «rauss» debba prevalere sulla scommessa dell’accoglienza seppur «calibrata». La notizia è che la Lega, c’è da ammettere con coerenza (anche se altro forse non avrebbe potuto fare), si è assunta la responsabilità di «offrire» al fratello- ministro dell’Interno Roberto Maroni il feudo veronese per ospitare la struttura, prevista per legge in ogni regione d’Italia e destinata, ovviamente, a sollevare le proteste sia di una parte dell’opinione pubblica che dei residenti potenzialmente interessati dalla scelta logistica. In questo caso i comuni di Bovolone e Isola Rizza, al cui confine si erge un’ex base dell’Aeronautica a quanto pare perfetta alla bisogna ed entrambi governati da altrettanti «borgomastri » padani che, immancabilmente, hanno protestato assieme alle loro comunità. Da parte sua, il colonnello della Lega Flavio Tosi, sindaco di Verona e tra i maggiorenti del partito, nel suo sacrificio territoriale oltre che coerenza ha dimostrato intelligenza politica e senso di realtà. La scelta del Cie veneto non poteva prescindere dalla vicinanza di un importante aeroporto e le opzioni erano due: Venezia e appunto Verona. Se da una parte emerge l’assunzione di responsabilità geopolitica e soprattutto il ruolo di «controllo» dell’operazione, dall’altra la logistica porta lontano dalla laguna sia per la sua antropizzazione che per essere maggiormente «vetrina» e di conseguenza luogo di contraddizioni, polemiche (no global) e problemi di «filiera» (a Venezia governa il centrosinistra di Orsoni). Ma Tosi e la Lega, probabilmente, non avevano fatto i conti con il dissenso interno, quello padano.Non era forse stata messa in conto la contrarietà dei sindaci veronesi (a meno che non si tratti di una recita da «finti offesi» ben interpretata), che per nemesi fa il paio con il ribellismo capitanato in questi giorni proprio dal sindaco Tosi sul fronte dei tagli tremontiani. Tagli che stanno facendo andare su tutte le furie anche i borgomastri di Bossi, non più capaci di nascondere che le mani nelle tasche del popolo sono messe «indirettamente », con la soppressione o la riduzione dei servizi ai cittadini.
Certo una contrarietà indirizzata non solo verso il proprio governo ma soprattutto e ancora verso il Sud, al punto che la Lega ha chiesto tagli «territoriali» per punire chi ha più preso e meno dato; ma che sembra un piccolo aperitivo di ciò che dovrà essere il federalismo fiscale. Misureremo le eventuali gioie dell’utopia autonomista e la saldezza istituzionale su scala municipale quando si tratterà di fare i «sindaci gabellieri» controllando l’evasione fiscale dei propri cittadini, dei vicini di casa, degli amici del bar. Forse, all’improvviso, seppur inesorabile, la madre di tutte le battaglie rischierà di apparire un po’ matrigna. Perchè il vero federalismo non può prescindere dalle regole e dal «patto sociale» che sta alla base delle democrazie. Sarà vincente se oltre ad obbligare il Sud a rientrare fra i parametri della virtuosità, le classi dirigenti del Nord riusciranno a godere delle nuove risorse mettendo in campo il coraggio di uccidere quel cancro che è l’evasione fiscale, ancor più odioso se proliferante nell’universo «civico» della porta accanto. Solo allora, se ciò sarà fatto, la Lega e chi governerà con essa potranno dire di aver coronato il sogno di un Veneto meno tartassato e più «libero» e, magari, di un’Italia migliore.
(Corriere del Veneto)