In migliaia per Chiara, Claudio, Mattia e Nicco
Migliaia di persone, provenienti da tutta Italia, scese in piazza a Torino in solidarietà con quattro compagni arrestati e accusati di terrorismo. Al di là del numero effettivo di partecipanti – cinquemila, diecimila, ventimila, e chi più ne ha più ne metta – quello di sabato 10 maggio è stato comunque un corteo grande e composito, che con linguaggi diversi ha rivendicato l’azione per cui i quattro saranno presto processati, senza scadere nell’innocentismo o nel vittimismo da montatura giudiziaria, rinviando contemporaneamente al mittente, come si suol dire, l’accusa di terrorismo.
Gli striscioni dei vari spezzoni scandivano un discorso chiarissimo: «siamo tutti colpevoli di resistere» quindi vogliamo «Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò liberi» perché «il sabotaggio è compagno di chi lotta» mentre «terrorista è chi sfrutta, bombarda e opprime». E i cori e gli slogan hanno ripetuto incessantemente «giù le mani dalla Valsusa», «la Valsusa paura non ne ha», «tutti liberi, tutte libere», «sabotare non è sbagliato, quel cantiere verrà incendiato», «magistrati e giornalisti siete voi i terroristi». Non sappiamo se tanta difesa del sabotaggio sia una condivisione di intenti, un’opzione di lotta che ognuno è pronto a mettere prima o poi in campo, o una presa d’atto di pratiche lontane e separate cui si guarda con simpatia, oppure ancora il tentativo di non farsi scavalcare. Oppure tutto questo assieme. Ma ha ragione, per una volta, il segretario piemontese del Partito Democratico, quando parla di «un corteo pacifico nei fatti ma non nelle parole».
Con un attacco di dialettica, d’altra parte, si potrebbe anche parlare di «un corteo determinato nelle parole, ma non nei fatti», dal momento che avrebbe di sicuro potuto lasciare qualche traccia in più del suo passaggio. Oltre a manifesti e adesivi, è rimasta giusto qualche scritta significativa, come quelle sulle vetrine delle banche o sulle camionette della polizia lungo corso Francia, sulla caserma dei carabinieri di via Cernaia – difesa strenuamente da un Senatore del Movimento Cinque Stelle e dal suo codazzo – o quelle sul camper del candidato grillino alla presidenza della Regione Piemonte, lasciato in bella vista lungo il percorso del corteo e difeso… da nessuno.
Non che ci si aspettasse una sommossa, per carità, e poi da piazza Adriano a piazza Castello tutto il percorso è stato letteralmente blindato dalle forze dell’ordine. Il dispositivo messo in campo – tra cordoni di celerini, betafence riciclati dallo stadio, barriere mobili un po’ arrugginite, idranti ed elicotteri – più che una provocazione per isolare il corteo dalla città (dal momento che ogni giorno in centro e Cit Turin è difficile trovare qualcuno che non sia uno sbirro, un turista o un indaffarato nello shopping), era un’esibizione di efficienza tecnica e muscolare tesa a proteggere il centro nevralgico della città, sede del potere amministrativo (il Tribunale), logistico (la stazione di Porta Susa) e finanziario (il grattacielo Intesa-Sanpaolo), permettendo al corteo di entrare nel salotto buono del centro storico, a patto di non mettere i piedi sul tavolino e le mani sulla porcellana.
Ma va bene, doveva essere un corteo per tutti, e tutti hanno risposto alla chiamata: dai paesani delle vallate ai cittadini superstiti della società civile, dagli antagonisti dei centri sociali ai protagonisti dello spettacolo, anarchici, vecchi militanti imbolsiti in salsa tzatziki, qualche reduce dalle giornate dei blocchi di piazza Derna e tanti No Tav senza altri aggettivi. Ma cosa sarebbe successo se il corteo, con la sua mole, il suo calore e la sua presa bene avesse tentato di toccare quei quartieri popolari a un passo dal centro, dove si svolgono quelle lotte che, come da più parti è stato ripetuto, domani potrebbero essere minacciate da inchieste analoghe? Chissà, forse non molto di più, ma almeno si sarebbe potuta mettere alla prova quella convinzione per cui una lotta come questa possa essere un emblema di riscossa della vita offesa, per tutti.
Di sicuro, così come l’abbiamo raccontata ora, racconteremo questa giornata importante ai nostri amici e compagni che stanno rinchiusi in prigione. La racconteremo a Chiara, Nicco, Mattia e Claudio, così come i loro cari hanno raccontato di loro a tutti noi, a fine corteo in piazza Castello. L’inizio del processo si avvicina, e siamo certi che una giornata come questa debba disperdere le sue spore, più piccole, più diffuse, più infestanti affinché la lotta non sia solo una concentrazione in piazza, ma anche e parallelamente una dispersione nelle strade.
Durante il colloquio settimanale al carcere di Alessandria, le madri di Niccolò e a Mattia hanno raccontato loro di questo corteo, e ne hanno parlato ai microfoni di Radio Blackout 105.250. Ascolta la madre di Niccolò, oppure scarica il file mp3.
[audio:https://macerie.org/wp-content/uploads/2014/05/mamma-nicco-su-corteo.mp3]
Ascolta la madre di Mattia, oppure scarica il file mp3.
[audio:https://macerie.org/wp-content/uploads/2014/05/mamma-mattia-su-corteo.mp3]