Corteo in Barriera
Il presidio indetto per la giornata di sabato si è trasformato in un piccolo corteo di un centinaio di persone che ha attraversato le strade tra Aurora e Barriera di Milano. Con in apertura uno striscione su cui era scritto «contro la sorveglianza (speciale), continuiamo a lottare», con manifestini e interventi al megafono che ricordavano le lotte nel quartiere di oggi e di ieri, si è proseguito lungo corso Giulio Cesare, poi per le viuzze di Barriera “bassa”, che abbiamo imparato a conoscere per le numerose resistenze agli sfratti e le occupazioni di cui sono state teatro negli ultimi anni, si è attraversata piazza Crispi e corso Vercelli, per poi finire nell’ultima palazzina occupata in ordine di tempo, quella al 45 di corso Giulio, dove tra un dolcetto e un biscotto, è stato proiettato il cortometraggio contro la sorveglianza speciale.
Un corteo contro la richiesta fatta dalla Procura di appioppare la sorveglianza speciale a otto compagni, dunque, ma non solo. Un corteo contro tutti gli altri attacchi che giornalmente i padroni di Torino, PD e San Paolo in testa, sferrano ai quartieri di Porta Palazzo, Aurora e Barriera di Milano, e alle strategie di sopravvivenza alla povertà che gran parte della popolazione vi mette in atto. Già perché la repressione, in queste strade ma di certo non solo, si fa sentire in molti modi. Ha le vesti dell’azzeccagarbugli che escogita gli “sfratti a sorpresa“, dell’ufficiale giudiziario che cerca di mandarti via di casa, delle camionette delle forze dell’ordine che lo aiutano a farlo, pattugliano il quartiere e mostrano i muscoli durante le retate. Ha anche le vesti più neutre, almeno in apparenza, delle associazioni e dei comitati per la riqualificazione del quartiere, come Urban Barriera e The Gate, che proseguono nel lavoro di poliziotti e ufficiali giudiziari, sviluppando tutte le condizioni favorevoli per rendere queste strade sempre più attraenti per gli investimenti dei capitali, soprattutto da parte di attori privati, e quindi sempre più produttive. Ed è in quest’ottica che vengono tranquillamente offerti quarantamila euro per dei murales da realizzare sulle facciate dei condomini di zona, per far cambiare la percezione del quartiere, attirarvi nuovi abitanti e investimenti. Nella stessa ottica eseguono gli sfratti e gli sgomberi, vanno in cerca di senza-documenti da portare in un Cie. E quindi nella stessa ottica spostano da una parte all’altra il mercato di cianfrusaglie e oggetti usati “della domenica”, da Via Cottolengo prima, poi legalizzandolo parzialmente in Piazza della Repubblica, quindi trasferendolo all’ex Scalo Vanchiglia e infine alle ex Officine Grandi Motori. L’ex OGM e l’ex Scalo Vanchiglia sono le più grandi aeree industriali di questa zona e chi governa, in attesa di finanziamenti per la riqualificazione, decide di utilizzarle facendo pagare 10 euro a chi un tempo animava il mercato domenicale di Porta Palazzo in cambio della possibilità di vendere la propria mercanzia. D’altronde a politici e amministratori non sarà sembrato vero di iniziare a far pagare il costo della pulizia delle rovine a chi ogni settimana deve sbarcare il lunario e ha pochissime alternative per la sopravvivenza. Con altri vantaggi: attraverso la regolamentazione si divide il fronte di quelli che una volta erano “gli abusivi”, e, contemporaneamente, si può cavalcare il malcoltento degli abitanti, che vedono nel mercato domenicale solo una fonte di degrado.
Già perché alcuni abitanti della zona, soprattutto tra i commercianti italiani, si riuniscono in comitati più o meno spontanei per chiedere ancora più controlli, ancora più polizia, più sgomberi e più intransigenza nei confronti di chi non paga l’affitto o la bolletta, soprattutto se di origine straniera. Vi avevamo parlato, nell’indizione del presidio, di una città divisa tra chi ha dalla sua parte il denaro, la legge e gli strumenti di conoscenza e chi non ha nulla di tutto ciò, anzi, ha sempre meno di meno. Tanto da tenersi stretto il suo lavoro precario e sfruttato che gli permette una vita di sacrifici e pochi agi. Questa divisione, di classe, che potrebbe far innescare una serie di resistenze a catena contro lo sfruttamento e nelle quali, a lottare, sarebbero italiani e stranieri insieme, come è stato quando quelle grandi fabbriche erano in funzione, ma anche in un passato molto più recente, nella lotta contro gli sfratti, è molto poco funzionale alla Torino Nord che i padroni sognano per il futuro. Quindi preferiscono dividere, magari sulla base del paese di provenienza, chi si tiene stretta la sua piccola fonte di reddito e chi è ancora più precario e sfruttato di lui, chi vive ancor di più di espedienti, chi è ancora più privato della cultura e della capacità di immaginare un mondo diverso.
Di questo abbiamo parlato durante il corteo di ieri, passando davanti ad alcune delle occupazioni di zona, fornendo esempi di lotta del presente e del passato, perché anche noi vogliamo un quartiere diverso, vogliamo un quartiere dove si continua a lottare, insieme.