Un anno contro
Vi riportiamo volentieri un contributo pubblicato sul blog Hurriya che imbastisce un resoconto sulle proteste all’interno del sistema cosiddetto dell’accoglienza in quest’anno appena passato. Che non passi inosservata la cartina dell’Italia di metà articolo che rimanda a delle notizie in breve sui numerosi momenti di lotta contro e intorno ai vari Centri predisposti, ognuno alla maniera sua, alla gestione e al controllo del flusso di immigrati in tutto il territorio nazionale.
Un anno di lotte contro il sistema di controllo tra accoglienza e detenzione
E’ appena terminato un anno che ha visto centinaia di proteste e lotte portate avanti da migliaia di migranti nelle varie strutture presenti in Italia.
I diversi acronimi ufficiali (CPSA – Centri di primo soccorso e Accoglienza, CDA – Centri di accoglienza, SPRAR – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, CARA – Centri di accoglienza per Richiedenti Asilo, CIE centri di identificazione ed espulsione, Hotspot ) di queste strutture istituzionali non nascondono, per chi ci vive e per chi vuole vedere, un sistema integrato di isolamento, segregazione, controllo e selezione tra le persone arrivate in Italia.
Nei vari centri erano presenti, all’Ottobre 2015, 100.000 persone migranti, il 70% delle quali nelle strutture temporanee. Alle varie categorie nelle quali le persone vengono arbitrariamente fatte rientrare (migranti economici, rifugiati, richiedenti asilo, profughi, minori non accompagnati, donne vittime di tratta, diniegati, in via di espulsione, transitanti, con o senza permesso di soggiorno, ecc.) corrisponde un iter burocratico, una struttura, una serie di regole e leggi e prescrizioni tra loro diverse ma che hanno in comune l’annullamento dell’autonomia e della libertà delle persone, loro malgrado, coinvolte.
Categorie giuridiche, anche nel cosiddetto “circuito dell’accoglienza”, attraverso le quali s’intende rafforzare il sistema di controllo: è proprio grazie alla frammentazione che si garantirebbe la gestione “senza intoppi” ad enti quali cooperative, associazioni, consorzi e multinazionali.
Un sistema di differenziazione che utilizza in maniera pretestuosa la “protezione nei confronti dei soggetti vulnerabili”: la divisione in quote permetterebbe l’integrazione dei soggetti migranti nei territori ospitanti, seppur si tratti di persone di passaggio e con nessuna intenzione di rimanere a lungo in luoghi mai scelti per vivere, i piccoli centri consentirebbero una suddivisione in base alle necessità, poco importa se, ad esempio, questo comporti la separazione di interi nuclei familiari in base al genere e all’età. Ciò che appare chiara è la necessità di dividere per gestire, in strutture semi aperte che in base all’esigenza possano cambiare forma giuridica e divenire detentive.
Con la mappa seguente, che descrive più di 230 proteste avvenute nei vari centri nel 2015 (quelle che hanno avuto spazio sui mezzi di comunicazione, senza contare le numerosissime proteste individuali e di piccoli gruppi e quelle soffocate nella repressione senza alcun cenno dei media) vorremmo evidenziare invece il protagonismo di chi lotta ogni giorno contro questo sistema di gestione delle persone migranti.
Attraverso queste proteste viene fatta luce sulla realtà del funzionamento di queste strutture. All’interno dei centri anche le più piccole lamentele e reclami, quando non bastano le promesse o le minacce dei gestori, vedono sempre l’immediato arrivo delle forze dell’ordine per intimidire e “calmare gli animi”.
La lotta rappresenta perciò l’unico e necessario modo per far sentire la propria voce. I blocchi stradali e le barricate improvvisate sulle principali strade dove è presente la struttura, il danneggiamento dei centri, l’occupazione degli stessi, la fuga in massa, i presidi davanti a sedi istituzionali (Prefetture, Sedi Comunali, Questure, caserme), il rifiuto di svolgere lavoro non pagato spacciato come lavoro “volontario”, sono le forme con le quali si prende parola contro il silenzio e l’invisibilità imposta e ci si ribella alle autorità.
Ad ogni protesta segue, sui media locali e nazionali, il ricorso alle consuete tecniche di delegittimazione e criminalizzazione: la rabbia e determinazione dei partecipanti viene sempre definita “irrazionale”, il non accontentarsi di sopravvivere per anni in un limbo, ingratitudine; vengono banalizzati i motivi delle proteste, la resistenza attiva viene considerata sempre come un sintomo di follia e bestialità.
Nei giorni successivi alle iniziative di lotta dei e delle migranti le autorità procedono alla loro vendetta: centinaia sono stati gli allontanamenti dai centri e le denunce contro i partecipanti, decine e decine gli arresti.
I democratici e le associazioni umanitarie spiegano le proteste nei “centri di accoglienza” esclusivamente come reazione ad alcune storture degli stessi, in particolare quelli gestiti da persone poco raccomandabili, come nel caso di Mafia Capitale. Esisterebbe invece per costoro, “un’accoglienza che funziona ed integra” (1), una vera ospitalità da prendere ad esempio e replicare come quella del modello toscano, da “estendere nell’Italia intera” (2) e , perché no, in Europa. Basta leggere le crude statistiche riguardanti i risultati (3) delle richieste d’asilo esaminate dalla Prefettura di Firenze per valutare questo idilliaco “modello toscano”: 1857 domande, 248 accolte e 1609 respinte (l’86,6%). Dietro le fredde cifre, il destino di migliaia di persone che verranno espulse.
Quanto detto non vale solo per l’Italia: dalla Germania alla Svezia, dalla Svizzera alla Francia sono moltissime le proteste di chi è incastrato nel circuito dei vari tipi di centri per migranti.
Rinnoviamo a tutt* l’invito a sostenere queste lotte, ad estendere la circolazione delle notizie e delle iniziative, ad organizzare forme di solidarietà attiva e a segnalare atti repressivi.
da Hurriya