Pace e baracche

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Sgusciando fuori da Porta Palazzo verso nord, appena oltre il ponte Mosca, si apre un ritaglio di terra e sterpaglie recintato da una rete verde su cui da anni, a stagioni alterne, appaiono cartelli che di volta in volta ne annunciano la vendita. Si tratta di ventimila metri quadri, in gran parte edificabili, di proprietà della Città Metropolitana di Torino e situati in una posizione strategica, a pochi passi dal centro cittadino. Un’occasione per chiunque possa avere dei piani ambiziosi che facciano perno sul processo di imbellettamento e rigenerazione che sta mettendo le radici in questa parte di città. Ma forse i tempi non sono ancora maturi.

I vari progetti trapelati dai trafiletti della cronaca locale oppure dalle chiacchere al bar pare che siano caduti nel vuoto. Potrebbe essere che un investimento in quel luogo non possa ancora trarre il massimo dei suoi frutti dal momento che tante palazzine e strutture adiacenti sono ancora fatiscenti e non riqualificate. In questo scampolo di terra, nel tempo, si sono susseguiti utilizzi temporanei: un circo si è stanziato per qualche settimana durante la tournée, per un pò è stato usato come parcheggio dei commercianti dei mercatini di Natale in Borgo Dora, per poi tornare di nuovo uno spazio coperto da erba incolta.

Così per ingannare l’attesa di un acquirente ben motivato la fu Provincia ha ceduto in comodato d’uso il terreno al Sermig. Quest’ultimo la settimana scorsa ha inviato dei boy scout a svolgere la Buona Azione: raccogliere l’immondizia, disboscare le sterpaglie e smontare le baracche di fortuna costruite alla bell’e meglio nell’ultimo inverno. Infatti nell’ultimo periodo nell’area di Ponte Mosca erano spuntati dei giacigli coperti da teli di plastica costruiti e abitati da alcuni senza-tetto.

Ciò che rimane ora sono cumuli di sacchi neri, frasche secche ammassate, un divano e qualche materasso di gommapiuma sbrindellata. Attorno al bottino dell’opera di pulizia sono state disposte le bandiere simbolo del Sermig su cui spicca la parola “Pace”. Una parola azzeccata per uno spazio ‘conquistato’ grazie al lavoro volontario dei boy scout, in preparazione di chissà quale avvenire pulito e quieto.