La storia di Tarik, come sbarazzarsi di un uomo
Tarik è al Cpr di Torino e in questi giorni lo deporteranno in Egitto. Un destino segnato per tanti all’interno delle strutture della detenzione amministrativa, eppure il suo caso si iscrive più di altri nella fascia sfumata del diritto che diventa rappresaglia esplicita, soprattutto perché si consuma all’interno di gabbie e nel loro sistema di vasi comunicanti.
Tarik aveva il permesso di soggiorno familiare, essendo sposato con una ragazza italiana, ma è finito in carcere per una lite sanguinosa. Quando si trovava in carcere a Cuneo, nella stessa prigione hanno portato proprio l’uomo con cui aveva avuto il diverbio e nonostante avesse chiesto formalmente il divieto di incontro, i secondini gli hanno lasciato la cella aperta e hanno permesso tra i due nuovamente lo scontro. A rimetterli a posto sono state però le guardie stesse che sono intervenute pestandoli entrambi.
Dopo questo episodio Tarik è stato trasferito tumefatto al carcere di Vercelli e lì ha chiesto di parlare con il direttore al quale in maniera avveduta ha chiesto se si volesse prendere la responsabilità della sua morte o se volesse immortalare le condizioni delicatissime precedenti al suo arrivo. Il direttore del carcere vercellese, certamente più per togliersi un onere che per magnanimità, l’ha fatto accompagnare in infermeria dove gli effetti delle percosse sono stati fotografati e passati agli atti.
Quelle immagini sono la base di una denuncia che Tarik ha sporto contro i secondini che l’hanno pestato. Caso vuole che poco dopo aver dato via alla procedura, gli sia arrivato il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno. La motivazione? Una poco argomentata pericolosità sociale.
Beffardo e conciso questo caso.
Così alla fine della carcerazione, nonostante una vita e una famiglia in Italia, Tarik il dicembre scorso è finito al Cpr sabaudo in cui, ancor più che gli altri reclusi, è stato minacciato continuamente dalle forze dell’ordine e già due volte hanno provato a deportarlo. Sembra abbiano molta premura di toglierlo di mezzo. La prima è stata il 9 di gennaio da Caselle ma la sua resistenza all’aeroporto gli ha assicurato un po’ di tempo. Riportato in c.so Brunelleschi ha iniziato uno sciopero della fame a oltranza. Nonostante il forte indebolimento fisico causato da venti giorni senza cibo e una documentazione psichiatrica riguardo a problemi pregressi, ieri sono tornati in forze per cercare di deportarlo e di nuovo non ci sono riusciti. Tuttavia a pestarlo, per l’ennesima volta, ce l’hanno fatta. Le forze dell’ordine con lui ieri si sono divertite mentre i lavoranti dell’ente gestore Gepsa e gli infermieri hanno fatto finta di niente.
Gli hanno promesso che torneranno a giorni e che questa volta non ci sarà resistenza che tenga.
Tutta questa attenzione su di lui non può che lasciare il dubbio sul fatto che certi carcerieri stiano cercando di difendersi da un processo con delle prove evidenti di pestaggio e che sia questo a perseguitarlo anche una volta finito fuori dalla galera, senza più documenti ma con un nuovo cartellino, quello di pericolosità sociale.