Sotto le mura, attraversando la città
Nell’ultima settimana le storie dei reclusi nel centro di corso Brunelleschi raccontano di frizioni e condizioni degradanti, di rabbia e tristezza. Raccontano di un ragazzo che dopo aver saputo l’esito dell’udienza svoltasi nella mattina, ovvero una proroga della detenzione di trenta giorni, ha tentato di suicidarsi. Hanno raccontato della mancanza di medici, della presenza di solo quattro infermieri e solo due charlie che distribuiscono pasti. Sono questi gli effetti dei tagli del Ministero: essere rinchiusi senza cibo a sufficienza, senza la necessaria assistenza medica. E ancora i racconti continuano come un ronzio nell’orecchio abituato ad ascoltare lo sconforto e la collera di ciò che accade là dentro: un ragazzo ha intrapreso uno sciopero della fame e della sete per tre giorni, i lavori continuano a rimettere in sesto celermente ciò che viene distrutto nelle rivolte, l’area rossa è ritornata alla sua piena capienza. E ancora procede il racconto, questa volta tratta di corde nascoste, pronte per essere lanciate, per aggrapparsi, scavalcare e scappare. Vengono rinvenute dalla polizia sia nell’area gialla che in quella blu. In quest’ultima gli sbirri intervengono in forze e i detenuti si mettono in mezzo. Nell’area gialla, invece, un ragazzo viene portato via, con una ricostruzione frammentaria, accusato di resistenza aggravata a pubblico ufficiale viene tradotto in carcere.
Arrivano notizie anche dal centro per senza documenti di Bari: un recluso ha iniziato uno sciopero della fame, anche lui il 29 maggio, i gesti di indisciplina e i litigi con i poliziotti si susseguono quotidianamente. I lavoratori civili all’interno della struttura son sempre meno, così come medicinali, medici e cibo caldo. Un detenuto dice che nell’arco della detenzione a Bari, lunga due mesi, non ha mai mangiato un pasto tiepido. La distribuzione del cibo e delle terapie avviene in maniera casuale e arbitraria.
Fuori, questa domenica un gruppo nutrito di nemici delle frontiere si è incontrato sotto la canicola di questa improvvisa estate, nel cuore dello struscio domenicale cittadino.
L’appuntamento era in piazza Castello dotati di un mezzo a due ruote. Da lì si è partiti verso Palazzo Reale, dove subito i celerini si sono infilati tra la gente a strappare lo striscione appena affisso. Gli interventi hanno fugato ogni dubbio nei confronti dei passanti, non è una flash mob, “siamo seri e incazzati”. Poi in sella per attraversare Porta Palazzo fino ad arrivare a corso Principe Oddone, piazza XVIII Dicembre, Porta Nuova, lungo via Nizza e poi di nuovo verso ovest, quasi dritti verso corso Brunelleschi, fermandosi davanti alle stazioni per ricordare quanto siano luoghi di passaggio obbligato per chi si muove seguendo la stagionalità dei lavori, scavalcando confine dopo confine,quanto siano luoghi sempre più militarizzati, frontiere in mezzo alla città, zone di rischio per chi non ha documenti in regola. Lungo il tragitto sono state disseminate scrittone sull’asfalto della carreggiata, striscioni appesi in punti “panoramici”, si sono costruiti ingorghi e si è rallentato il traffico automobilistico. In questi giorni ogni momento è buono per ricordare lo sciopero della fame intrapreso da Silvia e Anna per la chiusura della sezione As2 de L’Aquila dove sono detenute, ancora di più in un’iniziativa contro il Cpr dato che questa lotta è un perno dell’inchiesta Scintilla, per la quale Silvia è ancora rinchiusa. Si continua a pedalare fino ad arrivare sotto quelle infauste mura, a gridare sostegno e solidarietà a chi dentro si ribella e resiste.
Sul finire del pomeriggio si risale sui pedali per un ulteriore giro attorno alle mura, le urla tra dentro e fuori continuano a rimpallarsi a vicenda. “Libertà, libertà, libertà”, a squarciagola.