Di morte naturale
Morte naturale.
Più che un’osservazione medica, questa valutazione iniziale del medico legale ha il sapore acre ed artefatto della sentenza.
Sahid da quello che raccontano i detenuti del Cpr torinese era dello Sri Lanka, cingalese, con problemi psichici che rendevano la sua detenzione ancora più insopportabile. Se ne lamentava, ma nessuno riusciva a capire cosa dicesse di preciso perché non parlava nessuna lingua che gli altri conoscessero; vedevano che veniva spostato dall’amministrazione del centro da un’area all’altra con continui sfottò: “occupatevene voi di questo qui!”.
Alla mercé.
Tutti dentro sapevano che le sue condizioni fisiche non erano adatte alla detenzione, non perché vi sia qualcuno più idoneo, ma perché formalmente anche in questi gironi d’inferno sono stabilite delle soglie di sopportabilità rispetto alle quali alcuni individui non dovrebbero finirci dentro, o al massimo dovrebbero essere liberati. Questo è avvenuto pochissime volte negli ultimi anni e persone allo stremo sono state tenute dentro, come Tomi qualche mese fa.
Così Sahid, lasciato a sbavare e sbraitare, con 40° e un solo litro di acqua potabile, data calda, la razione che spetta giornalmente nonostante la canicola. Al trattamento dell’afflizione detentiva si è poi aggiunta la violenza da parte di due detenuti, l’hanno stuprato e inferto ferite tali che ci ha lasciato la pelle. La sua morte è tutt’altro che naturale, e non solo per la violenza sessuale e le sue conseguenze, ma perché dopo che è avvenuta, per più di dieci giorni, Sahid è stato lasciato a marcire in isolamento, marcire letteralmente: da quello che si sa è morto il 7 luglio di sera, se ne sono accorti solo alla mattina di ieri. Una persona stuprata e ferita non è stata portata all’ospedale ma in isolamento, lasciata senza cure, come da norma, in un centro in cui la polizia non fa entrare neppure le ambulanze presentando come scusa la presenza di un infermieria, “l’ospedaletto”, dove tutto si cura magicamente con un cocktail di paracetamolo e psicofarmaci.
Gli altri reclusi nei giorni dopo il fatto, si sono scagliati contro gli aggressori di Sahid, uno dei quali è stato successivamente deportato, l’altro arrestato, e hanno formalmente segnalato quello che era accaduto alla Procura, anche se da ieri nelle alte stanze di tribunali e polizia fanno tutti spallucce dicendo di non aver saputo quanto stava accadendo. Alla notizia della morte i detenuti hanno iniziato una serie di proteste che ha coinvolto tutti dentro al centro con battiture, rifiuto dei cibo e casino per tutta la giornata di ieri. Alla sera è arrivato in c.so Brunelleschi un folto gruppo di solidali per inneggiare insieme alla libertà e andare oltre la divisione delle mura e del cordone di celere e Digos. Da subito la rabbia dei ragazzi dentro si è fatta sentire, colonne di fumo hanno iniziato ad alzarsi, probabilmente hanno appiccato il fuoco a ciò che avevano nelle stanze. Poco dopo, anche a chi era fuori, era chiaro che cosa stesse avvenendo nel centro torinese: la celere all’interno della struttura stava lanciando lacrimogeni e utilizzando l’idrante per reprimere la rivolta. I colleghi in antisommossa fuori, non da meno, durante tutto il presidio piuttosto nervosi, hanno allora caricato più volte i solidali mentre erano intenti a raggiungere la strada per un blocco del traffico. Non sono riusciti però a disperdere il gruppo, nuovamente tornato sotto al centro per continuare a sostenere le proteste dei rinchiusi.
Questa è una storia che non deve passare come una triste cronaca, non c’è nulla di naturale in questa morte perché Sahid è stato lasciato a morire intenzionalmente e non è la prima volta, avvenne anche nel 2008 quando un ragazzo venne lasciato a crepare di polmonite nel suo letto.
Due morti in dieci anni, lasciati morire perché non curati.
Ma per quel posto non c’è nessuna cura possibile, quel posto dev’essere distrutto e stasera è necessario tornare là sotto per ribadirlo.
Ore 20:00 presidio sotto al lager di Torino.