Gli aguzzini si vendicano
È partita in grande stile la vendetta, di chi conduce la macchina delle espulsioni, contro i reclusi del Cpr torinese, che da ormai un paio di mesi le stanno provando tutte per farla uscir di strada e capottare definitivamente. Nella mattinata di lunedì, le forze dell’ordine sono entrati in forze nel Centro per arrestare 5 ragazzi accusati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento; nel corso dell’irruzione non hanno lesinato colpi e manganellate contro i reclusi che gli capitavano tra i piedi: a due di loro è stata rotta la mano e a uno il piede. Chi si trovava nell’area verde, da poco distrutta, è stato poi trasferito nella viola che ha quindi riaperto i battenti dopo la rivolta di fine novembre. Più di una decina di reclusi sono stati portati via ed espulsi. Prima di andarsene la polizia ha infine provveduto a sequestrare numerosi telefoni, così da impedire ai reclusi di comunicare con amici e solidali “fuori” e dar conto di quel che accade all’interno delle mura. Evidentemente gli audio e i video, usciti negli ultimi giorni, devono aver dato non poco fastidio alle varie autorità cittadine e a Gepsa, che gestisce la struttura.
Un’operazione simile è stata condotta dalle forze dell’ordine nel Cpr di Gradisca dove, a poche ore dal corteo, nella notte di sabato gli agenti sono entrati nel Centro picchiando alcuni reclusi e portando via le sim card a chi aveva parlato al telefono durante le iniziative. La reazione dei reclusi non si è fatta attendere e nel pomeriggio di domenica, nell’ala più vicina alla strada, sono stati rotti i vetri e staccati i letti dal pavimento, 8 ragazzi sono poi riusciti a raggiungere e scavalcare il muro e fuggire. Tre di loro sono purtroppo stati ripresi dopo poco ma gli altri sono riusciti a far perdere le proprie tracce. Dentro il Centro la rivolta è continuata: molti materassi sono stati dati alle fiamme e gli estintori sono stati vuotati nei cameroni completando il danneggiamento delle strutture.
Le rivolte nei Cpr degli ultimi mesi hanno creato notevoli danni. E queste rivolte sono contagiose, come insegna la ventennale storia della detenzione amministrativa in Italia, tante volte le scintille accese in un Centro sono riuscite a prendere anche a centinaia di chilometri di distanza. Chi governa lo sa bene e non può permettersi che queste strutture vengano messe nuovamente in ginocchio proprio mentre il Ministro degli Interni continua a sbandierare ai quattro venti della prossima apertura di altri Cpr. Gli ultimi arresti, pestaggi, espulsioni e sequestri dei telefoni hanno il chiaro intento di intimidire i reclusi e recidere a un tempo i legami con i solidali “fuori”, in modo che nulla di quanto accade “dentro” riesca a filtrare all’esterno.
Ai manganelli e alle manette si è poi aggiunta la carta imbrattata dai pennivendoli locali, particolarmente attenti nelle ultime ore a ciò che accade in corso Brunelleschi. Nel dar conto della volontà della Questura di espellere e non rimettere in libertà nessuno dei reclusi, i giornalisti appiccicano loro la tradizionale immagine di mostri, colpevoli secondo i questurini nella stragrande maggioranza di violenze sessuali e in odore di terrorismo islamico. Così da recidere qualsiasi possibile empatia verso chi si ribella e cancellare le ragioni di queste rivolte.
Per perfezionare poi questo colpo di spugna, gran risalto vien dato all’ipotesi degli inquirenti per cui queste rivolte, a Torino come a Bari, Caltanissetta e Trapani, avrebbero una comune regia esterna. A dirigerle o, per usar le loro parole, a pianificarle, sarebbero alcuni esponenti della galassia anarchica. Ancora una volta niente di nuovo. Il ritornello secondo il quale alcuni sovversivi di professione sarebbero gli istigatori e la causa di queste rivolte ha accompagnato tutta la storia delle ribellioni contro la detenzione amministrativa e prima ancora la storia di altri conflitti sociali. Cosa c’è di meglio per che far scomparire le cause di lotte e ribellioni, che risiedono nell’ingiustizia che governa questa società e nel coraggio e nella determinazione di chi decide di non volerla subire più? Un’ipotesi rassicurante per chi governa. Se così stessero le cose, basterebbe arrestare, o impedire altrimenti di nuocere a queste sparute minoranze di agitatori, e la pace sociale sarebbe cosa bella che fatta. Non che quest’accusa ci offenda, come rappresentanti di questa ristretta schiera, tutt’altro. Ma la realtà è ben diversa da quella che tratteggiano le autorità. E ciò che più di ogni altra cosa non dev’essere cancellato e non può rimaner nascosto, all’interno delle mura di questi monumenti all’infamia della nostra epoca, è proprio il coraggio e la determinazione con cui tanti e tante recluse hanno lottato e riconquistato la libertà all’interno dei Cpr. Un coraggio che, questo sì, potrebbe turbare il sonno di lorsignori se fosse da esempio anche per altri.
Ascolta qui l’intervista a un detenuto andata in onda su Radio Blackout durante Macerie su Macerie.