La frase non detta
Ricordate, ad ottobre, quando andò a fuoco il campo nomadi di via Vistrorio? Nessuno – tra Carabinieri, giornalisti, consoli, autorità varie – diede retta ai Rom che sostenevano di avere subìto un attentato – e di averlo subìto probabilmente da italiani della zona.
I giornalisti, in particolare, si prodigarono nel dare spazio alle ipotesi più fantasiose e sconce pur di non dover pubblicare dentro ai propri articoli una frase che sarebbe suonata più o meno così: «In questo momento, sulle strade della nostra città, passeggia qualcuno che ha tentato coscientemente di uccidere sessanta persone in una notte sola, mentre dormivano, donne uomini e bambini. E questo qualcuno ha la nostra stessa faccia, parla la nostra stessa lingua. E questo qualcuno potrebbe essere il nostro vicino di casa, il nostro collega al lavoro. Questo qualcuno potremmo essere noi.» Una frase moralmente troppo impegnativa, forse, per dei poveri cronisti di nera.
Persa l’occasione di pronunciarla, questa frase, dell’episodio di via Vistrorio non si è più fatta menzione sulle colonne dei gazzettini tanto che, una volta classificato sotto la specie tranquillizzante delle “autocombustioni truffaldine”, l’episodio è scomparso dalla memoria cittadina.
Solo una minoranza – minuscola e abbondantemente pregiudicata – della città ha voluto conservare la memoria del rogo di via Vistrorio. E ne ha fatto una sorta di spartiacque simbolico nella storia torinese: di là il razzismo come minaccia e come folklore; di qua il razzismo come bastone che arma le mani. Di là i preparativi della guerra tra poveri; di qua l’apertura delle ostilità.
Quella frase che nessuno ha mai avuto il coraggio di scrivere, questi pochi se la sono pronunciata mille volte a fior di labbra – come fosse un rosario, o un’orazione – per poterne cogliere tutte le sfumature e tutte le conseguenze. E soprattutto per riuscire a formulare l’unica domanda veramente importante: «E adesso, che facciamo?».
(Un paio di giorni fa dalle colonne de “La Repubblica, l’impagabile Nicolò Zancan, senza un filo di vergogna, si è degnato di informarci che sì, potrebbe anche essere che si sarebbe dovuto dar retta agli zingari, allora. E già, perché dentro al cellulare sequestrato a uno dei “giustizieri di tossik park”, la Digos ha trovato la registrazione di un servizio dedicato al rogo del Tg3 regionale. E questo testimonianza di interesse da parte di uno dei “giustizieri”, casualmente residente proprio in via Vistrorio, potrebbe riaprire la pista dell’attentato razzista…)
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