La “sicurezza” degli italiani
26 maggio. Dopo il morto di sabato mattina e la rivolta di domenica sera, il Cpt diventa il fulcro dell’interesse pubblico e politico torinese. Giornalisti e politici sfilano ai cancelli. Gli internati rifiutano il pranzo, mentre la polizia blocca la consegna dei pacchi che arrivano dai familiari o dagli amici. Dopo il dileguarsi degli obiettivi fotografici dei giornalisti e dei politici, le guardie prelevano i detenuti due per volta, per interrogarli. Gli immigrati hanno paura di ripercussioni e di venire picchiati. In particolare temono di venire deportati in Libia: raccontano di alcuni tunisini deportati in Libia e uccisi a colpi di arma da fuoco dai poliziotti libici, mentre scendevano dall’aereo. Temono di pagare con la propria pelle la “sicurezza” tanto cara agli italiani.
Durante gli interrogatori uno dei reclusi si denuda e minaccia di tagliarsi il ventre, ma i suoi compagni lo trattengono. Un altro sviene a causa della fame e quando i compagni chiedono l’aiuto della Croce rossa i medici si rifiutano di entrare a soccorrerlo, finché non viene trascinato vicino al cancello e da lì portato via.
Anche a cena continua lo sciopero della fame.