Nel cuore della notte
Chi sia stato a tirare due botti nel cortile del comando della Polizia municipale di Parma, non lo sappiamo. Quello che sappiamo è che potrebbe essere stato chiunque, chiunque abbia ancora un cuore, un cuore che batte più forte ad ogni aggressione e violenza contro gli stranieri, contro gli ultimi, contro i diversi; chiunque sia disposto a prenderlo in mano, il proprio cuore, e gettarlo oltre l’ostacolo, oltre i mille ostacoli che si frappongono tra la nostra rabbia e le nostre azioni.
Non sappiamo se ora, dopo questi botti, quei maledetti sceriffi di Parma ci penseranno due volte prima di massacrare un ragazzino solo perché ha la pelle nera o spogliare e ammanettare per terra una donna solo perché si prostituisce. Quello che sappiamo è che ben altro servirebbe per uscire dalla notte gelida che stiamo attraversando. E se questo “ben altro” è difficilmente immaginabile oggi, se non sappiamo ancora bene che cosa sia, forse abbiamo cominciato a intravederlo nei disordini dopo il massacro di Castelvolturno o nel corteo di Milano dopo la morte di Abba, un’alchimia di rabbia e autorganizzazione. Autorganizzazione, certo, per difendersi e per contrattaccare, in pochi o in tanti. Ma anche rabbia, perché se non ci fosse più nessuno in grado di arrabbiarsi di fronte a tutto quello che vediamo accadere giorno dopo giorno, vorrebbe dire che viviamo in un mondo di automi, di anestetizzati, di morti viventi. Vorrebbe dire che abbiamo già perso, prima di combattere.
(La mattina del 20 ottobre quattro anarchici sono stati arrestati a Verona con l’accusa di aver lanciato, la sera prima, due bombe carta all’interno del cortile della caserma dei Vigili urbani di Parma – vigili saliti all’onore delle cronache nazionali per aver massacrato di botte in un parchetto cittadino Emmanuel Bonsu, un giovane studente d’origine ghanese da loro allegramente ribattezzato “emanuel negro”)