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29 marzo. Nella notte, alle finestre dell’ingresso della Azimut di Avigliana compaiono due striscioni: «No alle produzioni di morte, no all’industria della guerra» e «In memoria dei 106 morti della Kater I Rades». Insieme agli striscioni, un manichino sanguinante e delle scarpe vecchie – come quelle che arrivano a riva sopra alle onde, dopo i naufragi. In effetti, la Azimut di Avigliana produce, nei suoi differenti stabilimenti, sia lussuosi yacht per far galleggiare ricchi in vacanza che pattugliatori della Marina Militare per intercettare, respingere e – se del caso – affondare i poveracci in fuga dalla guerra e dalla povertà. E in effetti, ancora, fu proprio alla fine del marzo di dodici anni fa che la nave militare italiana Sibilla speronò la Kater I Rades, riempiendo il canale di Otranto di cadaveri.