Torino, domani
«In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare. Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, sbattere le maniche a vento bianche e rosse, buttare fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella carena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d’oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pianterreno, ognuna con una donna che si pettina.
Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa ad una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le danzatrici, e muovono le braccia un po’ nel velo e un po’ fuori dal velo. Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti.»
Da una parte Despina, città che riflette i desideri di chi le si accosta da lontano, e dall’altra la città senza nome dei muri e delle gabbie dove ogni desiderio si annulla: due idee-limite di città che fanno da sponda alla città reale che oscilla tra l’uno e l’altro estremo spinta da forze diverse e contrapposte. È a queste forze che dedicheremo un certo spazio, da ora in poi, qui su //Macerie e storie di Torino//. A come stanno lavorando, a come stanno scavando Torino, a come la stanno ridisegnando spingendola verso domani. È chiaro: buona parte di questi processi hanno un campo d’azione che è planetario più che cittadino, e i testi che pubblicheremo per descriverli a volte neanche pronunceranno il nome della metropoli sabauda. Ma tant’è: starà a noi – e all’intelligenza vostra che ci leggete – capire come ricalcarli sulla mappa di Torino.
I testi che vi faremo conoscere saranno di foggia e provenienza differente. Qualche materiale nostro d’archivio radiofonico, qualche articolo in nulla dissimile dagli ordinari “Diari” di //Macerie e storie di Torino//, scritti di compagni ma anche ricerche di studiosi che se ne stanno piazzati giusto dall’altro lato della barricata sociale. Insomma: nessun privilegio alla scienza urbanistica e ai suoi cantori, per lo meno sulle nostre pagine. A disegnare le città, del resto, ci pensano gli sbirri altrettanto che gli urbanisti e per intravvedere il futuro, a volte, bisogna osservare più gli spostamenti delle truppe che disegni e plastici.
Ad aprire questa serie di scritti ci abbiamo già pensato qualche giorno fa, pubblicando “Eserciti nelle strade”. È un saggio lungo, che abbiamo estratto da un libretto molto interessante che raccoglie gli interventi di un convegno antimilitarista svoltosi a Trento nel maggio scorso. Leggetelo con attenzione – se non lo avete già fatto – e provatelo ad usare come se fosse una lente di ingrandimento per osservare la presenza degli alpini in città e la propaganda martellante che la ha preparata e poi giustificata. È passato un anno esatto dal loro arrivo a Parco Stura: dovevano rimanere sei mesi soltanto, e poi tornarsene nelle caserme. Invece sono ancora qui, che sfilano sotto le nostre finestre. A parte le resistenze solite a Porta Palazzo non è che ci siano state grosse opposizioni alla loro presenza. Anzi, alla notizia che ora ne arriveranno cento di più nessuno si è scomposto: in effetti ci stiamo abituando, tutti!, a loro. Ma, soprattutto, loro, i soldati si stanno abituando a noi – è questo l’elemento che vorremmo sottolineare, e lo facciamo proprio grazie al testo del quale vi stiamo parlando. Ci stanno studiando, stanno capendo come intervenire nei nostri quartieri, come giocarsi la popolarità che hanno con vasti strati di abitanti italiani della città per scagliarla contro i “nemici interni”, come allargare man mano i propri ambiti di intervento e le proprie prerogative. Fanno su e giù da Herat a Torino e da Torino a Beir Salasel, e nelle loro teste prendono appunti. Sembrano dei pesci lessi, con quelle penne e quei nasoni, ma in realtà hanno obiettivi precisi e lavorano sodo: si stanno preparando a quella guerra civile “a macchie di leopardo” che il capitale sta apparecchiando per le nostre città future, prosecuzione interna del conflitto che avvolge già il pianeta. Tutte le menate sullo spaccio, e sulla piccola criminalità, e sulla sicurezza, sono per l’appunto menate, anche se per ora i soldati si limitano a maltrattare tossici e a portarsi via gente senza documenti. Proroga dopo proroga le “regole di ingaggio” di questa loro missione cittadina, che per ora prevedono solo manette e manganello, diventeranno sempre più vaste e pericolose: diamo tempo al tempo, e vedremo. Leggetevelo, “Eserciti nelle strade”, e poi ne riparliamo più approfonditamente.
Come vedete abbiamo scelto di cominciare con una lettura tutta in negativo del futuro della città. Sia chiaro però che ogni destino già segnato ha i propri inconvenienti e i propri intoppi – che provvederemo a segnalarvi all’interno di questa serie di testi che vi stiamo annunciando. La vita, di per sé, pulsa incontrollabile e riempie gli interstizi del tessuto urbano e le lotte abbattono i muri e rimescolano sempre le carte in gioco. È lì che riappare Despina, città desiderata: nelle strade che conoscono la resistenza e la lotta, che hanno memoria del conflitto e ne sanno la pratica viva. Con in grembo tutte le contraddizioni di questi tempi ma anche con tutto il portato di relazioni e rapporti concreti che solo le strade e le lotte possono costruire.
(Tutto questo a dirvi che c’è una nuova “categoria”, tra quelle che già popolano la colonna qui alla destra di questo scritto, e che se pigiate le parole “Torino domani”, vi verrà fuori un elenco, man mano più lungo, di testi che per un verso o per un altro rispondono o provano a rispondere alla domanda: “che ne sarà di noi e della nostra città fra qualche anno?”)