Troppo tardi

19 settembre. Nel pomeriggio una dozzina di antirazzisti si presenta ai cancelli della sede della Croce Rossa di Moncalieri, alle porte di Torino. Piazzano un paio di striscioni e poi entrano, per una volta con le migliori intenzioni: vorrebbero raccontare ai presenti la storia di Miguel, quella di Mimì e quelle di tanti altri prigionieri dei Centri. Di più, vorrebbero far parlare i crocerossini direttamente con alcuni dei reclusi per telefono, in modo che nessuno possa più dire che quel che si racconta dei Centri siano bubbole interessate e che nei Cie tutto vada per il meglio. I crocerossini sono tanti, e di ogni età, ma non c’è niente da fare: tutti si rifiutano di parlare con i reclusi. La situazione è desolante: una ragazza sostiene di non sapere neanche dell’esistenza dei Cie; un Pioniere – giovane e sfacciato – nega addirittura che la Croce Rossa li gestisca, i Centri; qualcuno dichiara apertamente di non essere interessato all’argomento mentre due volontarie, giovanissime, ritagliano nervosamente dei cartoni, a testa bassa e facendo ostinatamente finta di non sentire, quasi fossero beghine tutte impegnate a sgranare un rosario. C’è pure un tizio della Croce Rossa militare che nel Centro ci ha lavorato, e garantisce che «qui a Torino» certe cose non succedono. I toni si surriscaldano, la sede si riempie di manifesti contro i Centri, un radiolone acceso trasmette testimonianze registrate da dietro le sbarre. A gruppetti si litiga. Un barelliere con la faccia da guardia giurata urla agli occupanti di andarsene. È una baraonda, i crocerossini sbandano vistosamente ma poi si ricompattano su di una sola proposta: chiamare i carabinieri per far cacciare gli intrusi. Alla fine, proprio mentre gli occupanti se ne stanno per andare, due crocerossini dicono che sì, forse la telefonata si poteva anche fare. Una dei due ha gli occhi lucidi: ma oramai è troppo tardi, e si va via.