Prove di forza /2
Tutto si può dire dei questurini, fuorché che non imparino velocemente. E così, prima di partire per la seconda volta all’assalto de Lostile occupato di corso Vercelli a Torino, ci hanno pensato bene ed hanno evitato di commettere gli errori del primo sgombero che, come ricorderete, era durato una ventina di ore ed era culminato in barricate incendiate, cariche, inseguimenti e lanci di lacrimogeni in tutto il quartiere. Era stata una prova di forza, quella di inizio dicembre, che aveva “liberato” per un mesetto lo stabile di corso Vercelli dalla presenza dei sovversivi ma che non li aveva affatto sradicati da quell’angolo di città. Anzi: quello sfoggio di muscoli polizieschi, e la dignità della risposta che è stata loro opposta, aveva reso i nostri un po’ più ben visti di prima, oltre che resi un po’ più veri e concreti quegli slogan che da sempre presentano fuoco e fiamme come ovvia risposta agli sgomberi e alla repressione in generale.
Questa volta, dicevamo, è andata diversamente. Intanto gli uomini della Questura sono arrivati incredibilmente numerosi, occupando tutto il tratto di corso Vercelli che va da corso Emilia a corso Novara: cinque isolati abbondanti, svariate centinaia di metri, con “checkpoint” agli incroci più lontani e vere e proprie barricate di camionette a chiudere la strada nei dintorni della casa. Una scena di guerra, resa possibile dai mezzi messi a disposizione dal vice-ministro leghista Michelino Davico per arginare la lotta alle trivelle in Valsusa prima e per ripulire Torino poi: un gran lavoro viste le due settimane di passione in montagna e i tre sgomberi consecutivi in città. L’altro elemento nuovo è che gli uomini del Questore si son fatti trovare sul tetto prima ancora degli occupanti, vanificando ogni possibilità di tener duro dall’alto. Questi due elementi, che così combinati sono abbastanza inediti, ve li buttiamo lì non certo per dire «come sono diventati cattivi», visto che «cattivi» lo erano anche prima e che «cattivi» in fondo lo sono per mestiere. Diciamo solo che la controparte studia, si organizza e sperimenta: che ne tenga conto chi, dopodomani, penserà la prossima resistenza.
Entrati dentro a Lostile i questurini portano via sei occupanti e li parcheggiano tutto il giorno dentro uno dei commissariati più lontani della città: i nostri avranno il tempo di scoprire la “stanza delle torture” di corso Tirreno, di soffrire un po’ la fame e di farsi notificare la solita sfilza di denunce. I solidali rimasti fuori, invece, si rendono conto che non è possibile aprire le danze sotto Lostile oramai sgomberato, e allora decidono di andare a chiedere conto del brusco risveglio direttamente a Chiamparino e alla Bresso, e di farlo a casa loro. E così una ventina di persone si dirigono verso la vecchia sede del Pd di piazza Palazzo di Città, ora quartier generale della campagna elettorale di Mercedes Bresso. L’ufficio è presto occupato: si spiega ai funzionari presenti che si rimarrà dentro fino alla liberazione dei sei trattenuti e si invitano tutti i solidali sparpagliati in giro per la città a raggiungere la piazza del Municipio.
Ascolta la diretta di Radio Blackout dalla sede del Pd occupata:
[audio:https://macerie.org/wp-content/uploads/2010/02/dentro-alla-sede-del-pd.mp3]Questo repentino cambiamento di fronte spiazza le truppe di Maroni e Davico, che ci metteranno un bel po’ ad arrivare. Al loro posto, però, di fronte alla sede del Pd occupata si presentano tre tizi nerboruti che, armati di manganelli telescopici e spray urticante, saltano addosso ai compagni intenti ad attaccare uno striscione sull’ingresso. Aprono un paio di teste, poi provano ripetutamente a sfondare la porta per aprire qualche testa ancora anche tra i compagni rimasti nella sede. Solo più tardi si capirà chi sono: tre militanti del Pd transitati dal servizio d’ordine del vecchio Pci ad una agenzia di sicurezza privata, la Hydra Srl, che, guardacaso, ora ha in appalto la sicurezza del partito. Del resto, nel nuovo mondo della globalizzazione tutto va esternalizzato, anche i mazzieri. Questa svolta improvvisa e un po’ truculenta della vicenda creerà non pochi imbarazzi a Gioacchino Cuntrò e al resto dei vertici del partito di Chiamparino, che passeranno il pomeriggio a spergiurare di fronte ai giornalisti che i loro sono militanti non-violenti, armati solo di tessere e buone intenzioni… Sopravvissuto al giro di boa del millennio, sullo sfondo, il vecchio Stalin continua a sorridere. Sta di fatto che l’intervento dei Picchiatori Democratici fa scoppiare il macello. I vetri si riempiono di scritte, alcune vergate con lo spray ed altre direttamente col sangue, mentre i funzionari del “comitato Bresso” sono basiti e non sanno più che pesci pigliare, chiusi nella sede insieme ai manifestanti. Alla fine arrivano i vertici della Digos cittadina, accompagnati dalla solita vagonata di celerini. Dopo una lunga trattativa gli occupanti mollano la presa. In dieci finiranno in Questura, e per cinque di loro i vertici di via Grattoni emetteranno un foglio di via obbigatorio dalla città.
Ascolta il riassunto della mattinata, in un servizio di Radio Onda d’Urto:
[audio:https://macerie.org/wp-content/uploads/2010/02/2010-01-29-18-46_red_andrea-ostile1.mp3]
La giornata, però, non è ancora finita. Di fronte alla sede del Pd occupata e poi sgomberata arrivano i pezzi grossi della città e nugoli di giornalisti. La notizia delle manganellate democratiche è sulla bocca di tutti, ancor più di quelle sullo sgombero e sulle proteste. Molti si indignano e qualcuno reagisce: a pochi metri dai cordoni di celerini schiarati tra corso Vercelli e piazza Crispi qualcuno riesce a spaccare un paio di vetrate della sede del Pd di via Cervino. Solidarietà cittadina e in tempo reale, a dimostrazione che quando le forze sono tanto asimmetriche un briciolo di astuzia e di velocità possono aiutare.
E poi ancora. Nel tardo pomeriggio una ottantina di compagni si radunano a qualche isolato di distanza da Lostile sgomberato, giusto fuori dall’ampio “cordone sanitario” ancora garantito dalle camionette. Un po’ di discorsi al megafono tentano qualche collegamento tra le truppe schierate in corso Vercelli, le cariche di poche ore prima all’aeroporto di Cagliari, gli scontri di Ischia del giorno precedente e i fatti di Rosarno: la gente ai lati del presidio capisce e applaude, ma sono sempre troppo pochi quelli che si uniscono ai manifestanti quando questi provano a partire in corteo per percorrere la parte ancora libera del quartiere. Inutile tentare di affrontare le truppe che dopo neanche cento di metri di strada arrivano di corsa a chiudere il corteo, davanti e didietro. Gli ordini del vice-ministro, evidentemente, sono chiari: le scene del primo sgombero non si debbono ripetere, neanche lontanamente. Dopo un quarto d’ora di stallo i manifestanti arretrano e si sciolgono: a questa esibizione di forza tanto muscolare della Questura non c’è alcun modo di opporsi così, direttamente. Ma anche in questo caso un diverso concetto di forza emerge – anche se in piccolo – tra i manifestanti dispersi. Una trentina di loro aspettano testardamente un paio d’ore e poi ricompattano nel Quadrilatero romano per dare vita a un breve ed improvviso corteo armati di striscione, megafono e bombolette. Di fronte agli sguardi stupiti dell’infreddolita movida torinese i vicoli si riempiono di scritte, manifesti, discorsi e slogan. Le pattuglie, beffate, arrivano troppo tardi e riescono a mettere le mani solo su di un contestatore, che però viene subito liberato dai suoi compagni. Una donna col velo, intanto, ripete a voce bassa lo slogan che è rimasto nell’aria di questo finale di giornata: «mai più schiavi». Mai più schiavi, mai più: è una questione di forza, senza dubbio. Sta a noi capire quale.