Centri commerciali
Giusto ieri pomeriggio un gruppo di compagni è comparso all’improvviso nella piazzetta dell’Ipercoop di via Livorno, a Torino. Già, perché se l’ipermercato è parente stretto della cooperativa che gestiva il Cie di Lampedusa, e lo si sapeva già, il baretto dall’altro lato della piazzetta è di proprietà dalla Camst, la ditta che ogni giorno porta i pasti ai reclusi di corso Brunelleschi: un bel posto di merda, insomma.
Striscione, megafono e volantini ovunque come al solito. Il responsabile del baretto non si scompone più di tanto: «vi stavamo aspettando da un mese», dice. Ma poi si scopre che del Cie non ne sa proprio nulla, e che neanche ne vuol sapere: sulla coscienza, lui, ha dei licenziamenti ed era guardingo per questo. Del resto la Camst, come la Sodexo, non si fa tanti problemi né a dove né a come fa i propri affari, e non è certo il caso di stupirsene.
Un quarto d’ora di contestazione nella piazzetta di un centro commerciale fa l’effetto che fa, con la gente che passa avanti indifferente e pensa sia una performance studiata per pubblicizzare un nuovo shampoo antiforfora. E i centri commerciali, ad occhio e croce, sono stati studiati anche per ottenere questi risultati. Uniche eccezioni tra i passanti alcune mamme, molto interessate ad aver dettagli sul menù fornito ai reclusi del Centro una volta scoperto che la mensa è la stessa di quella dei propri figli a scuola.