Cinque minuti, netti
«Le “Misericordie” le conosco oltremodo bene. Non soltanto perché in una di esse, attualmente, ci lavoro; ma prima di lavorarci, ne sono stato volontario. Fin dal primo giorno della sua esistenza (il 7 novembre 1986, per la cronaca). Per sei anni, dal 1988 al 1994, ho fatto l’interprete e il traduttore per la “Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia” (che ha sede a Firenze). E chi mi conosce fa un’estrema fatica ad immaginarmi dentro un’associazione del genere, sia come volontario che come dipendente. Di solito rispondo cercando prima di far presente che non esiste “la” Misercordia, ma tutta una serie di Misericordie, dalle più grandi alle più piccole; e che ognuna ha una storia a sé, e delle caratteristiche proprie. Quella di cui faccio parte oramai da quasi 25 anni è una piccola Misericordia tutta a sé stante. Non assimilabile in alcun modo alle altre. Nata da una scissione di un’altra grossa (anzi enorme) Misericordia, e che per anni ha da questa dovuto subire una vera e propria guerra tesa a ciò cui tende ogni guerra: l’eliminazione. All’interno di questa piccola Misericordia dove sono vigono atteggiamenti che non esito neanche un momento a definire libertari. È senz’altro tutto un coacervo di contraddizioni (e forse è anche per questo che mi ci sono sempre trovato bene dentro), e le conosco e percepisco tutte quante. Fin nelle cose più minute, nelle vicende quotidiane, nelle storie di tutte le persone, uomini e donne, che l’hanno frequentata e vi hanno prestato servizio. Tutt’altro che idilli, o rose e fiori. Ci chiamano con soprannomi indicativi: i “Campesinos”, i “Baraccati”, i “Terremotati” (per un certo periodo non avevamo neppure una sede in muratura e abbiamo dovuto arrangiarci in dei container, in delle baracche di legno, addirittura in una roulotte i primissimi tempi). Sempre orgogliosamente poveri, e differenti. Anche adesso, capita che nel conto corrente dell’Associazione ci siano poche migliaia di euro; ma è capitato non raramente di andare in rosso. Non gestiamo niente. Nessun cimitero (una vera e propria miniera di soldi per molte associazioni del genere), nessun ambulatorio, nessun centro specialistico, niente. E nessun CIE, dato che sarà bene che non ci vengano neppure a interpellare per una cosa del genere. Al nostro interno, unica Misericordia in tutta l’area fiorentina, non chiediamo neanche il “certificato di battesimo” (cosa richiesta da tutte le altre Misericordie) e neppure il certificato penale. Abbiamo avuto, e abbiamo, volontari arabi, somali, jugoslavi, albanesi, ebrei. Tra i medici, quando ancora non esisteva il 118, prestavano servizio assieme un somalo musulmano osservante e un palestinese ateo che si sbafava sleppe di pane e prosciutto e bicchierate di vino rosso, dichiarando (spesso in faccia al collega) che non sarebbe entrato in una moschea neanche per cacare. Indi per cui, quando alcuni mesi fa -durante una buffa bagarre telematica con un tizio- mi son sentito dire che faccio parte di un’associazione rigidamente confessionale mi sono prese delle convulsioni di risate. Io, che presto servizio con la spilla con il wild cat degli International Workers of the World a coprire il crocione delle Misericordie; e mai che nessuno, anche a livello dirigenziale, abbia mai avuto alcunché da ridire.
Ci sono, invece, delle “Misericordie” che ci tengono molto al business. Che si possono permettere decine di dipendenti, cimiteri, centri analisi, ambulatori. E che, al momento dell’installazione dei CIE, hanno senza alcun problema dichiarato la loro disponibilità alla cogestione di quei lager; perché di lager si tratta. Le cose vanno chiamate con il loro nome. Un paio di giorni fa alcuni militanti antagonisti, che svolgono un’intensa campagna contro i CIE (campagna che mi vede totalmente d’accordo) si sono introdotti nella sede di una di quelle grosse Misericordie cimiterate, di quelle col giornalino intitolato al santo patrono, di quelle coi conti in banca ben pasciuti, di quelle con decine e decine di mezzi. E hanno fatto presente alcune cose, scrivendole anche su alcuni automezzi. Apriti cielo. Tutti a gridare allo scandalo, a cominciare dal neogovernatore di sinistra della Regione Toscana; lo scandalo, insomma, è che alcuni combattano -anche con gesti clamorosi come questo- contro dei campi di concentramento espressione della più schifosa intolleranza e del più assurdo razzismo di oggi, e non che delle “Misericordie”, delle associazioni di “carità” (così si definiscono!) collaborino fattivamente alla loro gestione e trasformandosi in kapò. Dice il presidente regionale delle Misericordie: “È l’ennesimo episodio di un’intolleranza che sta dilagando nel nostro Paese e anche nella nostra regione, e che in nome di un’ideologia cieca e astratta colpisce in modo violento chi invece si impegna ogni giorno, concretamente, per aiutare chi ha bisogno. Con il brillante risultato di distruggere due mezzi che vengono utilizzati dai volontari delle Misericordie per il trasporto di anziani, malati gravi e disabili”. Ideologia “cieca e astratta”? No, proprio no. E’, anzi, un’ideologia che mette perfettamente a nudo l’ipocrisia totale di questi signorini che parlano di “intolleranza” e che poi agiscono fattivamente per dei lager, nascondendo tutto sotto la maschera della “carità” (come del resto fa, a livello planetario, la Croce Rossa). Gli automezzi ricomprateveli coi vostri bei soldoni, con i lasciti, coi numerosi introiti che avete. E, soprattutto, se cianciate tanto di “carità”, fatela sul serio rifiutandovi di collaborare a un’iniziativa nazista.
Nella prima parte di questo post ho espresso tutto il bene, perché di bene si tratta, che voglio a quella piccola e strana “Misericordia” di cui faccio parte. Gliene voglio anche perché non c’è mai stata, a cose di questo genere. Dovesse un giorno starci, mi toglierei di torno in cinque minuti netti.»