Ghiglia, Israele e tutto il resto
31 maggio. Un mini-presidio alla mattina a Porta Palazzo e un volantinaggio a Palazzo Nuovo che si trasforma in corteo e percorre qualche pezzo di città al pomeriggio: queste le prime risposte torinesi ai fatti accaduti all’alba di fronte alle coste palestinesi. Risposte inadeguate di fronte alla gravità della situazione e sottotono rispetto alle possibilità di reazione della città, ma staremo a vedere cosa succederà nei prossimi giorni. All’interno di questa piccola giornata di mobilitazione, però, vi segnaliamo un altrettanto piccolo episodio capitato durante il corteo pomeridiano: proprio mentre i manifestanti sfilavano sotto al Municipio è spuntato Agostino Ghiglia, che è capogruppo del Pdl in Consiglio. Ovviamente è stato riempito di maleparole, e poi inseguito e poi preso a calci (c’è chi dice cazzotti, ma poco importa).
Non si è fatto molto male, ma pare si sia offeso notevolmente e, quando ha raccontato alle agenzie di stampa l’aggressione, ha detto di esser sicuro che la gente gli si sia scagliata contro per “punirlo” di aver bloccato poche ore prima un ordine del giorno di condanna della politica israeliana. Ovviamente noi non sappiamo cosa avesse in testa chi ha inseguito Ghiglia, se “ordini del giorno” scomparsi, o “mozioni” o altro: il capogruppo del Pdl è un un vecchio arnese fascista, ha la rara qualità di far montare il sangue agli occhi a chiunque lo incroci, e di motivi per prenderlo a pedate ce ne sono parecchi. Ma a tutti questi motivi vorremmo aggiungerne uno che ci sembra adeguato alla giornata più di altri: Ghiglia è il più israeliano dei politici sabaudi. E nulla c’entra qui la politica estera del Governo, o il sostegno alle malefatte dello Stato di Israele. Ghiglia è israeliano perché vive come una utopia da costruire anche qua il modello sociale e politico dello Stato di Israele: frontiere interne, apartheid rigorosa, retorica guerresca, mobilitazione permanente contro i barbari sempre alle porte, caccia paranoica alle infiltrazioni del nemico e denuncia costante dei nemici interni. Che i nemici, i barbari, siano i palestinesi – come nel caso dello Stato di Israele – oppure quei segmenti di classi pericolose che si stanno mescolando nel cuore delle nostre città poco importa: ci sono sempre un “dentro” e un “fuori” divisi da un confine preciso che è segnalato con torrette e filo spinato, ma anche dalla messa a nudo del Diritto. E che l’utopia israeliana cara a Ghiglia – una delle tante varianti storiche di una roba che qualcuno ha voluto chiamare col nome suggestivo di “democrazia del Popolo dei Signori” – si stia perfezionando sempre più velocemente lo dimostrano alcuni fatti recenti, piccoli pure loro e pure loro vicini a casa nostra. Pensate ai rom di Triboniano, cui è vietata la città quando la vogliono percorrere affermando sé stessi e i propri bisogni. O pensate pure al Questore di Torino, che sostiene nel bel mezzo di un discorso ufficiale che alcuni “diritti”, quando son messi addosso a nemici interni, diventano inutili formalismi dei quali sbarazzarsi al più presto. Oppure a certi giornalisti, autorizzati ad inventare il plausibile e pure l’implausibile quando scrivono di senza-documenti, ribelli o proletari più o meno sempre fuorilegge. Chi è fuori è fuori senza appello, e chi è dentro è dentro (sempre che non sia accusato di intelligenza col nemico, ovviamente).