Imprenditoria sociale

Bari, 09 novembre 2010Mostra interesse ed è sempre più grossa e ben marcata la fetta di imprenditoria sociale che sull’accoglienza dei richiedenti asilo e sulla protezione dei rifugiati scatena appetiti. Se il paradigma di governo vuole frontiere chiuse e centri di accoglienza e di identificazione sempre meno affollati, la realtà dice altro. E cioè: la gestione dei Cara (i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo) e i progetti territoriali finanziati dallo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) fanno gola a tutti. Nonostante a Roma il ministero dell’Interno abbia ridotto i fondi, a Bari e in provincia c’è attesa, anzi tensione, anche con scambi di ceffoni polemici.
Sarà l’effetto della crisi, sta di fatto che mai come prima l’immigrazione interessa non solo il mondo cooperativo tradizionalmente vicino alla sinistra, ma anche società e associazioni d’imprese che fino a qualche anno fa con lo straniero avevano a che fare forse solo al semaforo, visto che si occupavano e continuano a occuparsi di riabilitazione, di assistenza domiciliare, di pronto soccorso. Lo testimonia quel che accade in città e nei grossi centri di provincia. Da noi succede anche altro: le organizzazioni che hanno inventato e sperimentato modelli, addirittura certificati a livello europei, escono di scena perché nel frattempo le regole d’accesso alla gestione dei servizi agli immigrati sono state cambiate in modo che certi requisiti di unicità e di professionalizzazione acquisita non fossero più premianti.
Regole più leggere = più mercato = più ribassi = meno servizi di qualità all’immigrato. Proviamo a capire meglio. Per farlo occorre tenere separati due «mondi»: il Cara, e quindi la prima accoglienza degli sbarcati, dai progetti dello Sprar che riguardano invece l’integrazione di chi la protezione l’ha già ottenuta (seconda accoglienza). Il Cara. Giovedì scorso, per indisponibilità di due membri della commissione giudicatrice la Prefettura ha rinviato la seduta pubblica per l’apertura dei plichi delle offerte per l’affidamento della gestione. Una gara che vale quasi 19milioni di euro in tre anni.
Per restare alle cose di casa nostra, trapela che sono nove (mai così alto il numero, in passato) i soggetti interessati a gareggiare e, tra questi, quattro sono associazioni temporanee (Ati). Fanno parte della partita a nove, perché sono stati gli stessi soggetti a confermarlo, il consorzio d’impresa Oer, Ladisa e Medica Sud e, in proprio, i gestori uscenti della cooperativa sociale Auxilium (leader in Basilicata nei servizi integrati a anziani e diabili) e il Comitato provinciale della Croce Rossa (ex gestore della «roulettopoli » di Palese). Il consorzio d’imprese prima citate è lo stesso che gestisce il Centro di identificazione e espulsioni (Cie) al quartiere San Paolo. Di nuovo c’è che il capogruppo non è l’associazione di soccorso Operatori emergenza radio (come per il Cie) ma la «Medica Sud» di Ilaria Tatò, fisiatra e figlia di Biagio Tatò, ortopedico ed ex senatore di An. Per un appalto milionario ce ne sono altri che fanno gola con la stessa intensità.
Sono in scadenza i progetti Sprar che vengono presentati dai Comuni che a loro volta li affidano a organizzazioni del terzo settore. A Bitonto (governata dal centrodestra) è accaduto che il servizio per 48 rifugiati sia stato affidato attraverso avviso pubblico. Si sono presentati in tre: «La Casa di Tom» di Cassino, l’Arci di Bari e l’Auxilium (del Cara). Il progetto di integrazione a Bitonto fu l’Arci a inventarlo più di 10 anni fa in linea col pressing che su scala nazionale la stessa organizzazione metteva in moto sugli enti locali per dare futuro a chi gode di protezione internazionale. L’Arci ha perso una gara che mette a disposizione 753mila euro per tre anni.
Oggi operatori e attivisti protestano davanti al Comune di Bitonto lamentando irregolarità e avanzando preoccupazione per il futuro degli immigrati. L’Auxilium replica facendo sapere che il servizio sarà migliore. Va detto però che la seconda accoglienza (progetti per 12 minoriti, 15 famiglie e 6 disagiati psichici) il Comune di Bari (centrosinistra), in particolare la Ripartizione servizi sociali, li ha affidati senza ricorrere all’avviso pubblico: rispettivamente alla cooperativa Csise capogruppo di un’Ati con l’associazione Glr e Etnie, a un’ati Arci e Etnie e (terzo progetto) ancora all’Arci. Due procedure diverse per effetto di un altro modo di applicare il codice degli appalti del 2006. Ma in questo caso si tratta di servizi per i quali occorrono competenze, risorse (strutture) e abilità non da poco. Almeno sulla carta. Già. Perché qui il male è che spesso i controlli sono solo di carta.

(Gazzetta del mezzogiorno)