Bancarotta?
Ancora una volta Elisa Miani, segretaria della Fisascat Cisl di Gorizia, parla del Cie di Gradisca e fa la voce grossa. «È ora di finirla, non è possibile scaricare quelli che sono i rischi dell’impresa sui dipendenti, l’anello più debole di tutta la catena, senza pensare che al Cie si lavora in condizioni estremamente pericolose». Che cosa è successo, stavolta? A quanto pare i dipendenti di Connecting People lamentano – poverini! – che a pochi giorni dal Santo Natale non sanno ancora se e quando percepiranno la “tredicesima” mensilità. Da parte sua, Connecting People – poverina! – lamenta di non disporre della liquidità necessaria ai pagamenti a causa di ritardi accumulatisi negli incassi da parte di non meglio precisati “creditori”. Il che è molto strano, visto che Connecting People può contare su diversi istituti bancari, da Intesa San Paolo al circuito delle Banche di credito cooperativo, e perfino il ritardo cronico dei pagamenti pubblici non dovrebbe costituire un problema.
E, a proposito di bancarotta, probabilmente è ormai inutile sprecare fiato su quella di un sindacato che per “pericolo” di chi lavora in un Cie non intende di certo il rischio di schiacciarsi la mano con la porta di una cella, ma la ribellione di quelli che nel Cie sono rinchiusi, la rivolta di quella manodopera in eccesso per cui non c’è neanche più bisogno di catene, ma solo di sbarre. Probabilmente è inutile, ma a noi che siamo maliziosi sorge una domanda: cosa ne pensano di tutto ciò quei giovani senza-documenti di seconda generazione che tramite questo video dell’Anolf (l’Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere promossa dalla Cisl, che proprio da ieri ha inaugurato un coordinamento anche nella sede di Gorizia di quel sindacato), dicono «basta ai fogli di via»?
Come fa la Cisl a difendere contemporaneamente gli interessi di chi lavora nel settore “espulsioni” e i “diritti” dei senza-documenti nati in Italia? Ah, ma certo – che ingenui che siamo! – non c’è nessuna contraddizione, perché la risposta è contenuta nel video stesso: «Noi non siamo immigrati, noi non veniamo da un altro paese, noi non abbiamo attraversato frontiere… noi abbiamo la cultura italiana nel nostro sangue». Questi giovani! Reclamano lo “jus soli” e parlano di sangue; vogliono andare “oltre le frontiere” ma la loro associazione è “nazionale”. Provocazioni? Può darsi. E allora noi, provocatori per antonomasia, non ci tiriamo di certo indietro: ma che se ne vadano a lavorare in un Cie e si conquistino il permesso di soggiorno col loro sudore, e col sangue degli altri.