La storia di Joy…
«Mercoledì 2 febbraio ci sarà a Milano il processo con rito abbreviato per la denuncia fatta da Joy contro l’ispettore di Ps Vittorio Addesso.
Noi ci saremo. Vogliamo essere con Joy anche in questa tappa della sua ribellione alle violenze e ai soprusi che ha subito.
Joy si è ribellata per se stessa, ma anche per tutte quelle che, nella stessa situazione, non hanno avuto il modo o il coraggio di farlo e per tutte quelle che troveranno, nel suo esempio, la forza per non subire.
La sua vicenda è emblematica. Le istituzioni pensano che quelle/i che hanno subito violenza per mano dei loro funzionari, staranno zitte/i per non subire ulteriori vessazioni, contando, anche, sull’omertà di chi, pure, è a conoscenza dei fatti. Se questo non succede c’è la vendetta, come è accaduto per Joy, che è stata pestata, insieme alle sue compagne, da Addesso e commilitoni, con la scusa della rivolta di Corelli. Anche qui nel silenzio di chi vede e sa.
Se la ritorsione non funziona, come non ha funzionato con Joy, che, al processo per la rivolta di Corelli, ha denunciato la violenza sessuale ed il successivo pestaggio, allora c’è la denuncia per calunnia che, anche in questo caso, accomuna Joy a tutte le vittime della violenza delle istituzioni e ai loro familiari che hanno il coraggio di rendere pubbliche le vicende.
Joy è stata denunciata per calunnia direttamente al processo e da un giudice donna. Per inciso, questo è successo anche alla madre di Aldrovandi ed alla sorella di Uva. Le istituzioni usano, di norma, la denuncia e la querela, contro quelle /i che osano chiedere loro conto di violenze e/o ingiustizie subite, perché sono consapevoli della disparità dei rapporti di forza.
Ma Joy non è stata lasciata sola.
Le compagne e i compagni solidali, le femministe e le lesbiche, fra denunce e manganellate, hanno reso pubblico tutto quello che le è successo. Le femministe e le lesbiche non si sono demoralizzate neanche quando hanno contattato, invano, realtà che, pur prendendo per questo finanziamenti pubblici, si sono mostrate evasive e sfuggenti. Sono riuscite, ugualmente, a tirare fuori Joy dal circuito perverso in cui era chiusa. Per tutto questo, i meccanismi abituali, messi in atto dalle istituzioni, non hanno funzionato.
Ora, lo Stato ha un’ultima carta da giocare, quella della mela marcia: scaricherà tutta la responsabilità su Addesso imputando quello che è successo ad un “riprovevole comportamento personale”.
Noi sappiamo che non è così. Il compito delle istituzioni in divisa è di tenere a bada, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, il dissenso e, in cambio, hanno l’immunità e l’impunità. E le donne rinchiuse nei Cie sono bottino di guerra.
La storia di Joy ci racconta la violenza di genere, ma anche quella delle istituzioni, la violenza nelle strutture chiuse di detenzione, ma anche quella nei confronti delle migranti e dei migranti, nuove schiave e nuovi schiavi, ed infine la violenza dello stato nei confronti di tutte/i quelle/i che osano ribellarsi.
La storia di Joy ci insegna che ribellarsi è necessario, perché solo così si può spezzare omertà e silenzio, che quelle/i che si ribellano non devono essere lasciate/i sole/i, che non è il caso di contare su strutture paraistituzionali che fanno quasi sempre un passo indietro quando prendere posizione su soprusi, vessazioni, violenze significa mettere in discussione alleanze, convenienze, interessi, che è necessario autorganizzarsi e costruire un’altra società.
RIBELLARSI SEMPRE RIBELLARSI TUTTE!
CHIUDERE TUTTI I CIE!»
Donne-femministe-lesbiche contro i Cie, Roma