Cordoni e musei

4 febbraio. Ancora un corteo per le strade di San Salvario in solidarietà con le rivolte in Africa del Nord. Questa volta i manifestanti – un centinaio, in buona parte arabi – si sono spinti fino a piazza Castello, transitando prima di fronte al portone del Museo Egizio, protetto da un cordone di polizia. Di seguito, il testo di una bella locandina che è stata attacchinata lungo il percorso, e che abbiamo trovato su Indymedia Piemonte.

«È DAVANTI AGLI OCCHI DI TUTTI. Le città che ci circondano sono sempre più delle galere a cielo aperto nelle quali consumare le proprie vite nell’incertezza, nella fame, nella paura.
NE SIAMO SOMMERSI. Ad ogni ora i media ci riversano addosso litri di sangue, immagini cruente di attentati, stupri, rapine e quant’altro purché il tutto abbia il gusto del macabro. Poco importa se i dati sulla “delinquenza” sono sostanzialmente invariati. Poco conta se le leggi da sempre difendono i ricchi e massacrano i poveri e si ha la faccia tosta di chiamarla giustizia. Poco importa se ogni pretesto è buono per sbattere il mostro di turno in prima pagina. Tutto questo serve. Alimenta la paura oppure al bisogno ne crea.
NE SIAMO CIRCONDATI. Continui controlli di polizia sugli immigrati, militari nelle strade con i blindati, retate d’indesiderati sui pullman. E’ guerra ai poveri e in guerra nessuno si può sentire al sicuro. I rastrellamenti di casa in casa li fa la polizia sempre più spesso affiancata dai militari. D’altronde le guerre le fanno gli eserciti … ebbene sì i blindati, come quelli che si usano in Afghanistan o dove si dice di voler esportare democrazia a fucilate contro gli insorti, sono fermi. Sembrano in attesa di nuovi ordini. Di un bersaglio.
AI PADRONI FA COMODO. Ci aggiriamo in questo clima di perenne emergenza, succubi di leggi speciali che diventano norma, il piccolo delinquente elevato a simbolo del male, minoranze ben riconoscibili sulle quali scaricare le colpe e convogliare la rabbia popolare. Allo Stato fa comodo distrarre l’occhio dalle sue responsabilità: disoccupazione, morti sul lavoro, morti in carcere, guerre per dirne solo alcune… di questo certo non se ne può accusare il povero o l’immigrato di turno.Ha bisogno di gestire e indirizzare la paura e la rabbia del popolo, ha un intero apparato di radio, giornali, televisioni per farlo. Altrimenti chissà dove si potrebbe finire con tutta questa rabbia …
IL FALLIMENTO DEL CAPITALE È SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI. La povertà e la fame avanzano di pari passo con gli appelli alla coesione e alla non conflittualità lanciati dai padroni, a una maggiore produttività, ai sacrifici.
LA REPRESSIONE TOCCA TUTTI. L’individuo é sempre più subordinato e annullato. Sindaci sceriffo creano leggi speciali che regolano cosa dove e quando si possa dire, fare, mangiare e bere. Ma anche parlare, incontrarsi, lamentarsi. Come in via Berthollet con il decreto antibivacco.In questo quadro è chiaro come chi amministra una città non possa che reprimere quelle che sono vite “inutili” o “pericolose” per questo ordinamento sociale. I potenziali insorti di domani.
La manovalanza per reprimere non manca. Sbirri, carabinieri, militari, vigili sono già mobilitati e presidiano le città e i moderni lager di Stato per immigrati che si chiamano CIE.
I tempi sono neri, il malcontento cresce e alla fine le parole idiote dei politicanti non basteranno più, allora serviranno i fucili. Sono poi così distanti Tunisia, Egitto, Grecia, Albania? E gli scontri a Roma, la rivolta di Rosarno, i reclusi che danno fuoco ed evadono dal CIE di Gradisca, di Bari, di Bologna, di Torino, i disoccupati nelle piazze sono abbastanza vicini?

E soprattutto sono così diversi gli sfruttati tra loro, gli insorti? La risposta è no.»