Processi, ricatti e voglia di evasione
Nei giorni scorsi il Tribunale del riesame ha confermato l’arresto per Hamdi e Lofti, i due ragazzi tunisini accusati di aver incendiato e quindi reso inagibile, durante il mese di febbraio, l’area gialla del Centro di C.so Brunelleschi. In mancanza di video o di testimonianze di poliziotti, l’accusa contro di loro e contro i loro dieci coimputati a “piede libero” si regge sulle dichiarazioni che l’Ufficio immigrazione ha ottenuto da altri cinque reclusi in tre mesi di ricatti e insistenze. Gli aguzzini non si fanno scrupoli e presentano puntualmente il loro conto, allo scopo di intimidire i reclusi indisponibili a subire e tenere il capo chino e di dividere i prigionieri. Allo stesso modo avevano fatto con Hassan che, condannato per aver partecipato alla rivolta scoppiata nel Cie di Torino a luglio, ha scontato in carcere una detenzione durata fino a dicembre. Ma la ritorsione non è finita: uscito dal carcere lo hanno riportato nel Centro, dove ha intrapreso subito uno sciopero della fame proseguito ininterrottamente per sedici giorni. Martedi sono finalmente scaduti i sei mesi di reclusione, per cui ora è di nuovo in libertà. Nel frattempo, mercoledì scorso, un ragazzo dell’area viola, portato all’ospedale per aver accusato un malore allo stomaco, è riuscito a divincolarsi e guadagnare la fuga. C’è da rallegrarsene. Non altrettanto bene è andata martedì notte a cinque maghrebini “ospiti” dell’area viola, il cui tentativo di evasione con corde di fortuna è stato spento sul nascere dall’intervento immediato delle guardie. Oggi per uno di loro, accusato di essere l’ideatore del piano di fuga, è iniziato l’isolamento. Speriamo in un miglior esito per le prossime imprese: allora questi ricatti non saranno, ancora una volta, serviti a nulla.