Corelli brucia ancora (un appuntamento a Milano)

«Il 24 maggio al tribunale di Milano si svolgerà la prima udienza di un processo che vede imputati nove uomini accusati a vario titolo di aver partecipato ad una sommossa scoppiata nel Cie di via Corelli il 15 gennaio scorso.
Fino a qui si potrebbe pensare ad un processo come se ne sono visti tanti in questi anni a carico di chi nei centri di identificazione ed espulsione lotta per riprendersi la propria libertà. Invece questa volta val la pena soffermarsi un po’ di più ad osservare ciò che sta avvenendo ed i problemi che sta ponendo.
In primo luogo è utile ricordare i fatti.
Il 15 gennaio scorso, a seguito del pestaggio di un ragazzo e dopo l’ennesima perquisizione alla ricerca di cellulari (che sono vietati a Corelli dall’ ottobre 2010 ma che col tacito accordo della polizia vengono venduti sottobanco dai solerti crocerossini per la modica cifra di 200 euro) la tensione all’interno del centro esplode.
Scoppia una rivolta, la sezione E viene del tutto distrutta (ed è tuttora inagibile) e vengono arrestati tutti i 26 “ospiti” della stessa.
Mentre nei due giorni seguenti i reclusi del CIE nel loro insieme mettono in atto uno sciopero della fame in solidarietà con i loro compagni arrestati questi ultimi una volta portati in questura vengono interrogati due alla volta, sottoposti a forti pressioni psicologiche ed indotti ad incolparsi a vicenda nel tentativo di suscitare reciproco astio e diffidenza.
E qui sta il nocciolo di uno dei primi problemi che ha posto e pone tutt’oggi questa storia.
Alcuni di loro non cedono alle intimidazioni poliziesche, altri in parte sì. Così dei 26 arrestati a nove viene confermata la custodia in carcere, due riescono ad evadere dalla questura, cinque vengono deportati e gli altri trasferiti in vari CIE.
La situazione che si è venuta a presentare in merito a tale vicenda ci ha dato del filo da torcere fin dall’inizio, in particolare sul fatto di dare o meno la solidarietà. Date le circostanze in cui il terrorismo psicologico, scientemente orchestrato dagli aguzzini in divisa, ha scalfito un’integrale solidarietà fra prigionieri, non è facile avere un approccio politico che non tenga conto di questo spiacevole aspetto. Ma non bisogna neppure dimenticare il fatto che costoro si sono ribellati distruggendo un’intera sezione.
Questo è un processo in cui fra gli atti ci sono dichiarazioni esplicite che mettono in posizione scomoda alcuni degli accusati, ma ciò non significa che non può essere anche questo processo un’occasione per proseguire la lotta contro i CIE e per sottrarre al silenzio le condizioni di vita interne e le esplosioni di rabbia che queste strutture generano, mantenendo la prospettiva di abbatterle totalmente.
Inoltre in secondo luogo gli imputati, che verranno processati con rito ordinario, vengono accusati niente di meno che di “devastazione e saccheggio”. Imputazione che è stata riproposta in questi ultimi anni tra i banchi dei tribunali in occasione di singoli episodi di scontri di piazza e che, con condanne che vanno dagli otto ai quindici anni, mira ad intimidire chi lotta per indurlo a non alzare troppo la testa.
Ora vediamo applicare questo capo d’imputazione in merito alle rivolte nei centri.
La tensione a Corelli così come dentro i Cie di tutta Italia resta sempre molto alta ed oscilla tra gesti di autolesionismo, tentativi di evasione, atti di rivolta individuale e di sommossa collettiva. A partire dal graduale aumento della durata di detenzione (prima fino a sei mesi e poi fino ai 18 mesi) c’è stato un incremento esponenziale di rivolte ed evasioni sia in termini quantitativi che d’intensità. A ciò si accompagna una massiccia somministrazione di psicofarmaci per debilitare gli individui reclusi, ma nemmeno questa tattica riesce nel suo intento. Ora approda nelle aule di tribunale una nuova tappa della strategia repressiva: l’utilizzo di capi d’accusa che prevedono pene di lunga durata. Se solitamente chi veniva processato per fatti simili era imputato per reati di danneggiamento, resistenza, violenza ecc. e condannato ad alcuni mesi di galera,ora i nove arrestati rischiano un pena altissima. Questo è un chiaro tentativo repressivo per far recedere dai propri propositi chiunque altro fosse intenzionato a compiere simili atti di insubordinazione.
Riteniamo importante prendere atto delle nuove strategie repressive che stanno utilizzando per colpire chi si ribella nei CIE, per sviluppare una riflessione in merito alle lotte che avvengono anche fuori e per dare più incisività alle nostre azioni.

Giovedì 24 maggio saremo presenti in aula a dare il nostro sostegno a chi si è rivoltato dentro il CIE.
Il processo avrà inizio alle 9.30, aula 1bis, terzo piano

Assemblea “tra vento e tempesta”