A lavorare

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«Un parco divertimenti per delinquenti». Così viene definita durante un convegno del sindacato di polizia Sap la Valsusa, da tale Pierfranco Bertolino, uno dei legali delle forze dell’ordine al processone contro i No Tav. Secondo lui c’è ormai tanta «gente, che con la valle e il Tav non ha nulla a che vedere, che quando non sa cosa fare, va in valle». Niente di nuovo né di particolarmente interessante, una divisione tra buoni e cattivi e tra valligiani e gente di fuori che è stata ormai smentita talmente tante volte, a parole e nei fatti, da non meritare grandi attenzioni. Parole che poi, a ben vedere, contrastano anche con quelle pronunciate alcune settimane fa proprio dal presidente dello stesso Sap Gianni Tonelli. Senza «voler apparire repressivo», quest’ultimo aveva infatti espresso pubblicamente la propria preoccupazione per la piega che sta prendendo la lotta contro il Tav. A preoccuparlo erano i tanti manifesti che rivendicano con orgoglio le violenze dei manifestanti dei mesi scorsi, e soprattutto i tanti testi che su vari siti internet hanno difeso i compagni accusati di terrorismo affermando che il vero terrorista è lo Stato. Una situazione giustamente intollerabile per un uomo come lui, tanto più che a suo parere il rischio che si corre seriamente è che «questi comportamenti e questi atteggiamenti straordinariamente negativi» possano diventare «prassi quotidiana», «normalità». Una volta tanto non si può non sottolineare l’acume di un fedele servitore dello Stato. Le sue riflessioni, infatti, oltre che essere molto meno banali di quelle del Bertolino, non che ci volesse molto del resto, sono tra le poche apparse sui media ufficiali a cogliere uno degli aspetti più interessanti della lotta contro il treno veloce e delle lotte reali in genere. La possibilità che le rotture della normalità prodotte dalla lotta contro un progetto determinato modifichino il modo in cui tanti uomini e tante donne guardano al mondo che li circonda, modifichino addirittura il modo in cui crescono i bambini, cambino senso all’aria che tira in porzioni anche piccole di territorio. Non è un processo lineare, per carità, o dato definitivamente, ma la lotta contro un treno può via via mettere in discussione non soltanto l’utilità di un’altra linea ferroviaria più veloce, ma anche la stessa autorità dello Stato di prendere e poi cercare d’imporre le proprie decisioni, la democrazia insomma. Una bella occasione per noi, e un bel problema per chi ci governa. Di cui tra l’altro Tonelli sembra essere pienamente cosciente. Senza «voler apparire repressivo», e senza troppo giri di parole, il presidente del Sap dichiara infatti che chi lotta contro il Tav va fermato con ogni mezzo, sia con le possibilità offerte dalle leggi ordinarie che con misure eccezionali, e consiglia dunque a chi di dovere di aggiungere, all’ampio campionario di strumenti che già Procura e Questura stanno utilizzando, «un po’ di sana e ricostituente fatica fisica in una colonia agricola o in una casa lavoro». Scordatevi insomma il Luna Park che vi mandiamo a lavorare. A questo punto c’è forse da augurarsi che nessuno tra i suoi superiori abbia apprezzato, come abbiamo fatto noi, le sue parole.