Trasferimento violento

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Ultimamente il racconto del trasferimento violento di una ragazza ha oltrepassato le mura del carcere di Torino. Pezzo dopo pezzo, voce dopo lettera si è riusciti a ricomporre la storia di M..

Dal 7 Aprile nel blocco femminile, ai Nuovi Giunti e in tutte le altre sezioni a pranzo e a cena si fa battitura. Le donne delle sezioni, dove stanno sperimentando le celle aperte durante il giorno, spaventate da un possibile ricatto cercano di “tutelarsi” comunicando gli orari delle battiture alla direzione del carcere tramite una domandina. Si frenano i pettegolezzi  in corridoio, tutte insieme giorno dopo giorno fanno risuonare le sbarre e le ante degli armadietti.
Le guardie rispondono esercitando il potere delle chiavi, ritardano l’apertura delle celle per recarsi in doccia, arrivano a non aprire e a non permettere la tanto sospirata ora d’aria.
Il 17 Aprile le detenute smettono di battere minacciate di rapporti disciplinari.
M. non ci sta, si incazza contro tutte, guardie e compagne detenute.
Il giorno successivo la squadretta (gruppo di guardie adibito al pestaggio punitivo) fa irruzione nella cella di M. per spostarla in un’altra isolata, in mezzo alla sezione delle “incolumi”.
M. in una lettera scrive: «prima hanno chiuso tutti i blindi della sezione, poi sono entrati. Non riuscivano a tirarmi fuori per quanto ho fatto resistenza. Quando le botte si sono fatte più forti ho lasciato che venissi trasportata in mezzo al corridoio in modo che tutte le detenute potessero vedere oltre che sentire i colpi inflitti, le ragazze urlavano e facevano trambusto vedendo che non riuscivano a trasportarmi fin dove volevano. Così han fatto aprire una altra cella vuota nelle vicinanze per buttarmici dentro con un altro aggiungersi di guardie.»
Ancora un lungo tira e molla si sussegue nella nuova cella, finché M. vince. La fanno tornare dove stava prima. Passa un’ora e M. viene chiamata all’ufficio matricola. Appena mette piede dentro la stanza la ammanettano e le viene comunicato il trasferimento imminente.
Ritorna così dal carcere dove è arrivata quasi un anno fa, da Vercelli, tra risaie e zanzare. In una cella d’isolamento.
Il 22 viene trasportata d’urgenza in ospedale, un’ecografia rivela un’ernia epigastrica aggravata dalle botte ricevute. Sotto i ferri chirurgici si scopre anche una lacerazione del muscolo addominale, l’operazione che doveva durare mezz’ora diventa una faccenda di due ore.

«Beh, dicevano che dalle Vallette non sballavano nessuno, io non so se c’è l’ho messa tutta per far si che mi facessero sto regalo.»

Che non trasferiscano nessuno dal carcere di Torino non è così sicuro;  numerose sono state le voci che si sono levate e sono state rese fievoli allontanandole.
Chi ha denunciato una morte causata da una somministrazione erronea di terapia, chi si è intestardito nel volersi organizzare con gli altri prigionieri e cambiare qualcosa è stato caricato su una camionetta e trasferito in un altro penitenziario.

M. ci fa sapere che sta bene, il suo morale è alto. Non sempre le botte riescono a scoraggiare gli animi.