Le inchieste di ieri e le lotte di oggi, un appuntamento / 2
Chissà se qualcuno dei nostri lettori più affezionati ed anzianotti si ricorda ancora della retata contro gli “antirazzisti torinesi” del febbraio 2010. Già al tempo eravamo abbastanza abituati alle irruzioni all’alba nelle case dei compagni, ma queste non erano diventate ancora un affare di routine, una specie di rito repressivo a cadenza periodica come sono diventate successivamente, per cui è normale che la memoria si scolori e che le immagini dei differenti episodi repressivi si sovrappongano. Di più: presi come siamo dalle possibilità di lotta – a volte evidentissime ed appassionanti e a volte più nascoste – che ci offrono sempre le strade della città maledetta nella quale viviamo è normale che il nostro sguardo vada raramente alle aule dei tribunali. Se i redattori di questo sito e i loro compagni più stretti, insomma, i tribunali li frequentano (fin troppo) spesso, da queste colonne ci siamo trattenuti abbastanza dal raccontarvi nei dettagli di udienze, arringhe, richieste dell’accusa e cose simili. E in effetti, degli strascichi repressivi di quella vicenda di cinque anni fa sostanzialmente non ve ne abbiamo più parlato.
I fatti di allora in poche parole: tre compagni in carcere e tre agli arresti domiciliari, uno con l’obbligo di dimora, decine di indagati, una ventina di perquisizioni in giro per l’Italia, la sede di Radio Blackout messa a soqquadro dagli uomini della polizia politica torinese, il dubbio onore dei titoli dei telegiornali e delle foto segnaletiche in bella mostra sulle gazzette nazionali. Al centro delle accuse una lunghissima serie di iniziative (presidi non autorizzati, occupazioni di protesta, blitz, partecipazione a cortei, contestazioni e danneggiamenti variamente assortiti) tenute insieme da una “associazione a delinquere” finalizzata principalmente – se non abbiam interpretato male le carte questurine – a spingere alla rivolta i senza-documenti rinchiusi nel Centro di corso Brunelleschi e ad ostacolare il placido funzionamento della macchina delle espulsioni. “Associazione a delinquere” nata in seno alla Assemblea antirazzista di Torino, sopravvissuta al suo scioglimento, e a detta dell’accusa ancora viva e vegeta al momento degli arresti. Arresti preventivi ordinati ad indagine ancora aperta proprio per bloccare le scorribande di questa supposta associazione e finiti (quasi) in nulla, visto che nel giro di qualche settimana i giudici del Riesame cassavano il reato associativo e lasciavano liberi i fermati. Diviso in due tronconi, da quel momento il processo per quelle iniziative è andato avanti tanto stancamente da lasciar finire in prescrizione un bel numero di capi di imputazione. Qualche mese fa sono arrivate le condanne per il primo troncone, quello che raggruppava gli episodi sui quali l’accusa non aveva la possibilità di calcare più di tanto la mano. Ora, invece, siamo arrivati alla lettura della sentenza per il secondo: da parte sua, l’accusa ha chiesto complessivamente 78 anni di carcere per 31 imputati, con richieste particolarmente elevate per alcuni di loro (da 3 anni a 5 anni e mezzo).
La sentenza verrà letta questo giovedì e, guarda caso, in aula ci saranno anche alcuni degli arrestati del 20 maggio: dopo la retata del 2010 la lotta in città contro la macchina delle espulsioni – che va dai rastrellamenti in strada ai rimpatri obbligati – è andata avanti, e in parte con le stesse facce di allora. Vi invitiamo a partecipare all’udienza: un po’ per salutare i compagni che sono ancora in prigione, un po’ per ribadire insieme che quella lotta è ancora viva e che non è affatto detto che tutte le fatiche della Questura riusciranno a fermarla.
L’appuntamento è per giovedì 23 luglio alle 12,30 nell’aula 3 del tribunale di Torino.