Una riflessione
A ridosso del processo d’Appello a Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò ci arriva un testo di Francesco, che pubblichiamo di seguito.
Una riflessione e un incoraggiamento sull’appello per terrorismo
«L’opposizione politica si trasforma presto in violenza e terrorismo».
Queste parole che risulterebbero credibili se pronunciate da un Lupi, un Alfano, un Esposito o magari uscite dalla veemente penna di un Numa, appartengono in realtà a Nikolaj Ivanovic Ezov, primo inquisitore di Stalin all’epoca della grandi purghe. Diresse l’NKVD raggiungendo ragguardevoli records in quanto ad esecuzioni sommarie per poi finire lui stesso sommariamente fucilato una volta che il potere burocratico decise che la funzione di questo zelante servitore si fosse esaurita.
È incredibile come queste poche parole riassumano il sentimento di ansia di controllo e isterismo che provano gli uomini di potere quando si sentono minacciati, quando sentono che non tutto va come dovrebbe andare o come fu pianificato che andasse. È l’isteria dell’ordine di fronte all’anomalia. Un sentimento comune a molti despoti (che infatti sono persone notoriamente nervose, sospettose e paranoiche) e, con le dovute proporzioni, anche fra le file dei crociati pro Tav.
Chi ha seguito anche solo distrattamente le vicende della Val Susa degli ultimi due/tre anni si sarà forse accorto di come fra i fautori dell’opera e i suoi oppositori si sia innescato un conflitto non solo materiale, ma spesse volte narrativo, cioè volto a definire quello che stava accadendo. Se da una parte chi opponeva il suo No parlava (e parla) di resistenza e di riappropriazione di un territorio, di una pratica, della potenza, ecc…, dall’altra chi pervicacemente insisteva (e insiste) nella cantierizzazione eterna di una vallata definiva a suo uso e consumo le lotte che ostacolavano i progetti di rapina di un territorio. Uno Stato appena più intelligente di quello che Ezov e compagni combatterono e vinsero sa bene che la pura repressione non è granché efficace se non si accompagna a politiche che la supportino. In mancanza di queste si richiede almeno che si costruisca un certo consenso formale intorno ai colpi repressivi più arditi e innovativi, che non solo permetterebbero di sconquassare la lotta reale a cui sono diretti, ma anche di legittimare agli occhi della società un nuovo strumento di controllo nella mani dello Stato.
Il processo “Compressore” (e l’accusa di terrorismo che esso contiene) di cui a breve si aprirà l’Appello, è il culmine di questa strategia mirata a: criminalizzare uno dei pochi movimenti di massa di questi ultimi anni; cercare di seminare il terrore fra chi si oppone concretamente a delle scelte economiche utili solamente alle mangiatoie dell’ubi maior, ma fatte passare per opere di pubblica utilità; armare lo Stato con quanti più strumenti repressivi di deterrenza possibili; e, en passant, neutralizzare per un bel po’ di anni chi, con nome e cognome è finito nelle sue maglie. Di fronte a tutto questo c’è ancora chi si stupisce che la lotta No Tav abbia valicato i confini di un mero dibattito su: treno sì, treno no…
Scendendo nel tecnico (noioso, ma bisogna comunque affrontare un processo), bisogna notare che questo scollamento dalla realtà, per quel che riguarda la Procura di Torino, è avanzato di pari passo con gli insuccessi che ha dovuto incassare nelle aule di tribunale dacché questa faccenda è iniziata. Come imputato, e detenuto, ho avuto l’attenzione, e il tempo, di studiare le carte che via via si andavano producendo nei vari passaggi burocratici in cui l’accusa di terrorismo perdeva progressivamente pezzi. Sarà forse per questo che gli strali lanciati dal procuratore generale Maddalena lanciati dalle colonne di Repubblica non mi hanno sorpreso più di tanto. A parte la coda di paglia di chi si sente in dovere di confermare pubblicamente qualcosa che non era stato smentito¹, le parole del P.G. dimostrano la volontà di portare un discorso ben diverso da quello meramente tecnico dentro l’aula di tribunale.
Dall’assoluzione in primo grado per terrorismo di Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia la Procura ha perso tutto quello che giuridicamente poteva perdere, e questa sconfitta sul piano tecnico l’ha portata a spostare la battaglia su un piano via via sempre più ideologico, gettando alle ortiche qualunque maschera di decenza² e mostrando chiaramente la volontà d’arrivare ad una condanna di tipo politico. Se così non fosse difficilmente si sarebbe potuto leggere in un ricorso in Cassazione (perso anch’esso) frasi di questo tenore:
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«la volontà che sorreggeva gli imputati era data dall’astio e dal rancore che gli assalitori nutrivano nei confronti degli operai, dei poliziotti e dei carabinieri, tutti in quale momento rappresentanti di quel potere che vuole imporre un’opera fortemente osteggiata» (riconoscendo, fra l’altro, che il Tav è un’opera imposta e che sia fortemente osteggiata…)
- «Gli autori di queste azioni non instaurano un dialogo con lo Stato, e si contrappongono in forma antagonista, con il solo modo che conoscono, quello del dialogo della violenza» (grassetto e sottolineato nell’originale)
- «Il gesto degli indagati si colloca nell’antagonismo estremo, un atto di guerra, un atto punitivo verso il nostro Stato, per condannare le sue scelte di politica economica»
- «Il gesto fu criminale e scriteriato» (salvo poi contrapporre la meticolosità della sua preparazione…)
Insomma, tutte frasi che ci si aspetterebbe di sentire in qualche trasmissione di del Debbio, o di qualche altro demagogo che tanta fortuna trovano oggi fra la schiera dei giornalisti, e non certo in un ricorso diretto ad una sede tanto tecnica e suppostamente neutrale.
“L’affaire No Tav” è stato trattato dagli apparati repressivi con dei riferimenti piuttosto espliciti alla stagione degli anni ’70, e questo al di là del fatto che tecnicamente l’accusa di terrorismo sia supportata dalla legislazione contro il terrorismo internazionale jihadista. Si tratta di un operazione psicologica necessaria per dire: «anche allora si inizio con piccoli sabotaggi…». Il tentativo, neanche troppo velato, è quello di ricondurre i termini del discorso ad una stagione che nell’immaginario ufficiale ha ancora una discreta capacità di riportare immagini di paura e sangue. Gli schemi che la repressione propone per leggere la realtà oltre ad essere pesantemente distorti sono anche piuttosto datati e polverosi e forse in questo ha giocato un ruolo anche il fatto che molti dei protagonisti, e comparse, istituzionali di questa vicenda (Maddalena, Caselli, de Stefano, ecc.) siano stati in prima linea in quegli anni sul fronte repressivo, e forse questo “amarcord” li ha riportati, con non poca nostalgia, ai bei tempi che furono della loro giovinezza…
L’inconsistenza culturale e giuridica dell’accusa di terrorismo è lampante, questo lo sa anche chi, nonostante tutto, la vuole far passare costi quel che costi, e non è poi che gli costi molto, giusto il costo della carta per scrivere un ricorso… La battaglia ora è tutta politica, anche se nelle aule di tribunale si cercherà di nasconderla dietro a qualche cavillo, e il grande movimento di solidarietà che si è creato attorno a questa vicenda non dovrebbe commettere l’errore né di sottovalutare la residua pericolosità di certe accuse, né di farsi trascinare sul piano ideologico da certi personaggi tragicomici che oltre ad essere dei cattivi vincitori hanno dimostrato anche di essere dei pessimi perdenti.
La battaglia ancora non è finita servono ancora energie, voglia di confrontarsi e di esserci nei momenti importanti. E questo non solo per il sacrosanto principio di non lasciare solo chi è colpito dalla repressione (principio senza il quale una lotta è persa in partenza), ma anche, e soprattutto, per dimostrare l’irriducibile e contagiosa gioia di vivere e sperimentare che si contrappone ai grigi piani dei burocrati sulle vite e sui territori che trattano come oggetti da definire, selezionare e modellare in funzione del buon andamento della società e dell’economia, o di quello che un funzionario di un apparato possa ritenere che sia la società e l’economia.
Amor y Rabia
Fra
¹ Il ricorso in appello da parte della procura risale ad aprile, cioè prima della sentenza di fronte al G.U.P. Per Graziano, Lucio e me, ma soprattutto prima della seconda bocciatura della Cassazione sulla sostenibilità dell’accusa di terrorismo. Mediaticamente è stato fatto passare come una controrisposta a quest’ultima bocciatura, è in realtà piuttosto probabile che durante l’appello in corte d’assise l’accusa tenti di minimizzare le vicende giudiziarie legate al secondo mandato per terrorismo, visto che esse non sono esattamente edificanti per l’accusa…
² Fra le carte dell’inchiesta gli episodi curiosi e le figure di palta abbondano, molte sono di carattere procedurale e farebbero sorridere solo i giuristi ma c’è n’è almeno una che merita essere ricordata: nel nuovo “pacchetto di prove” sul terrorismo grazie al quale io, Lucio e Graziano fummo arrestati esattamente un anno dopo Mattia, Chiara, Claudio e Niccolò figurava il famoso studio dell’Università Bocconi sulla rilevanza economica del Tav. Negli intenti del Padanaudo questo studio avrebbe dovuto dimostrare l’essenzialità della realizzazione del Tav e quindi il terrorismo di chi lo colpisce, dunque un pezzo “forte” dell’accusa. Questo studio citato nel processo di primo grado in corte d’Assise e poi sventolato sia nel mandato di cattura del 9/12/14, sia al riesame (perso) che ne seguì, sparì, senza troppo rumore dalle carte che l’accusa produsse in seguito. Il motivo di tale bizzarrasparizione può forse essere ricercato nel fatto che la firma in calce a questo studio apparteneva all’ing. Ercole Incalza il cui arresto, nel marzo di quest’anno, fece saltare anche la poltrona del buon Lupi…