“Corollari” della questione casa
Retro dei palazzi di via Carlo Noè negli anni settanta
Giovedì scorso la mattinata per Aurora non è stata caratterizzata solo dal viavai consueto per le vie intorno alla piazza del mercato di Porta Palazzo e dallo sferragliare continuo del tram. Infatti chi passava in corso Giulio Cesare si è ritrovato davanti camionette e celerini a bloccare interamente via Carlo Noè. Non che la presenza anche massiccia della polizia desti stupore da queste parti, ma senza un apparente disordine per la strada, è venuto subito spontaneo pensare che il loro problema dovesse riguardare qualche “irregolarità abitativa”.
Di primo acchito questa scena di poliziotti poteva suggerire a un occhio avvezzo alle dinamiche repressive di questo quartiere l’esecuzione di uno sfratto a sorpresa, la conclusione cioè dell’incidente di esecuzione previsto dall’art. 610. E invece no. Dalle chiacchiere con conoscenti della zona prima, da qualche trafiletto giornalistico poi, è emerso che cotanto dispiego di forze dell’ordine riguardava un’operazione a cura del commissariato Dora-Vanchiglia in combutta con gli agenti del Reparto Prevenzione Crimine, del resto come già successe nel 2009. L’obiettivo ufficiale? Controllare quante fossero le inadempienze alle norme abitative in un comprensorio di quarantatré appartamenti e due esercizi commerciali.
Il problema abitativo è un tema sempre più caldo per i governanti che gestiscono le questioni welfaristiche in contesto urbano. Accompagnano la carota del discorso sul nuovo “abitare sociale e condiviso in/la città” al bastone della repressione, cacciando e acuendo i controlli laddove la loro retorica non riesce a far breccia per via delle scarse risorse delle persone. Son ben consapevoli che una fetta consistente e strutturale di esclusi dalle nuove politiche abitative di matrice privatistica è un potenziale bacino conflittuale. Non a caso i poliziotti, alla vista di qualcuno più curioso di altri nello scrutare la situazione cercando di capirne il perché, si mostrano decisamente agitati.
Ebbene sì – l’abbiamo detto più d’una volta – la stretta sulla casa sta diventando sempre più asfissiante, e non solo per quanto riguarda pignoramenti e sfratti. Se si hanno pochi soldi, anche se si riescono a tirar fuori con fatica quelli dell’affitto, si diventa presto morosi per via di altri onerosi costi che riguardano l’economia del palazzo: le spese condominiali, quelle del riscaldamento, senza dimenticarsi delle utenze. Nel cercar di risparmiare, in molti decidono di arrangiarsi magari senza il sistema canonico di riscaldamento o senza l’allaccio alla rete cittadina del gas. Così stufe e bombole tornano sempre più spesso come risposta all’esigenza di riscaldarsi e cucinare. Da che si sa sono state sequestrate per l’appunto quaranta bombole del gas e un ridicolo quantitativo di hashish ritrovato nelle cantine dello stabile dall’unità cinofila. I controlli non hanno certo riguardato prettamente l’ambiente condominiale e domestico ma anche i documenti di tutti gli abitanti. Sette ragazzi marocchini sono stati condotti in commissariato per l’accertamento dei documenti, per cinque dei quali, senza carte in regola, purtroppo pare sia arrivato il decreto d’espulsione dall’Italia.
Alla fin fine si tratta sempre di metter pressione alla porta di chi in quartiere non è passibile di nuovi abitudini di vita maggiormente profittevoli.
Sarebbe tuttavia ingenuo non immaginare che a tutto ciò non s’accompagnino delle concause maggiori, e assolutamente complementari, di questa operazione. Infatti per l’inadempienza alle norme architettoniche e d’igiene sono stati denunciati e multati alcuni condomini e l’amministratore condominiale. Un grosso stabile di case in affitto, fatiscente e con una popolazione non gradita è sempre una cattiva immagine in un quartiere in via di riqualificazione con palazzi dalla vernice fresca e bistrot fighetti poco più avanti.
Che sia una delle tante pressioni affinché si avvii un processo di ristrutturazione architettonica e di abitanti?