Contributi per “Bruciare le frontiere ogni giorno”
In vista dei tre giorni di discussione e lotta contro le frontiere, qui di seguito, uno in coda all’altro, troverete i contributi arrivatici sui temi che si andranno a toccare il 20-21-22 maggio.
Buona lettura.
Frontiere e muri intelligenti
Secondo i dati forniti dalle istituzioni europee, nel 2015 più di 50 milioni di cittadini di Paesi terzi hanno visitato l’Unione Europea attraversando legalmente i valichi esterni. Tale flusso, secondo le proiezioni statistiche, è destinato ad aumentare vertiginosamente negli anni a seguire, fino a raggiungere addirittura 80 milioni di visite annuali. Lo spazio Schengen è diventato ancor più che nel passato, per varie ragioni, polo d’attrattiva per lo scambio di merci e per la transizione di numerose categorie di soggetti portatori di valori, investimenti e consumi differenti. Turisti, trasportatori, lavoratori a termine, manager, studenti, tutti ben accolti nel territorio perché visitatori temporanei e ampiamente spendibili sul mercato europeo; un’immagine speculare a quella degli immigrati in fuga.
Questo sistema di transito, tuttavia, presenta alcuni gravi difetti a causa della sua non infallibilità sul piano del controllo e della sua permeabilità al flusso irregolare. I controlli serrati alle frontiere esterne, infatti, non possono certo impedire l’entrata regolare di soggetti, che, una volta varcato il confine come turisti, potrebbero restare sul territorio illegalmente. Il passaggio delle frontiere esterne attraverso procedure legali, soprattutto permessi turistici di 90 giorni, sembra essere, a discapito di chi descrive un’Europa assaltata da barconi o da orde di fuggiaschi, il modo principale di entrata all’interno dello spazio Schengen. Proprio il fenomeno dei cosiddetti “overstayer” e l’assenza di controllo su quest’ultimi rappresenta, all’oggi, una delle tante preoccupazioni delle istituzioni nazionali e continentali.
Per sopperire a questa mancanza, le autorità europee, anche grazie all’utilizzo di nuove tecnologie, hanno iniziato a sviluppare un nuovo approccio capace di intrecciare ragioni economiche e necessità repressive, permettere il passaggio di merci e persone e tenere a bada o controllare i flussi irregolari. Il concetto di “Smart”, termine ormai di uso comune in vari settori del sociale, è venuto loro in aiuto. Esso indica l’intelligenza dei sistemi complessi nella selezione dei dati, la loro possibile autonomia decisionale, la loro articolazione e l’integrazione con l’ambiente umano. Nel caso delle frontiere, tale concetto assume una sua declinazione precisa, nata intorno alle problematiche dei valichi terrestri, ma forse generalizzabile a tutto l’approccio attuale di gestione del flusso migratorio.
L’idea dello “smart border” ha visto la luce nel 2008 all’interno di alcuni settori dell’Ue. Nel febbraio 2013 la Commissione europea presentò il primo gruppo di misure legislative volte a modificare la gestione delle frontiere esterne allo spazio Schengen. Successivamente sono stati apportati alcuni cambiamenti al testo iniziale, ma le varie discussioni tecniche, le analisi d’impatto e persino un progetto pilota hanno espresso, in ogni caso, parere positivo.
Il regolamento prodotto, chiamato anche “Smart border package”, troverà attuazione entro e non oltre il 2020.
Il predetto programma si compone di due pilastri fondamentali, ovvero due sistemi di registrazione e controllo complementari tra loro: l’RTP e l’EES. Entrambi saranno gestiti e supervisionati da un’agenzia dell’Ue chiamata Ue-LISA che si occupa della gestione dei tre principali sistemi IT su larga scala che trattano le richieste di visti, di asilo e lo scambio di informazioni nell’Ue, più precisamente: il sistema di informazione sui visti (VIS), il sistema di informazione Schengen (SIS II) e Eurodac.
L’RTP (Registred traveller programme) è un sistema di registrazione e schedatura dei cosiddetti viaggiatori abituali, coloro che varcano spesso, per motivi economicamente rilevanti, le frontiere esterne allo spazio Schengen. Come già detto, si tratta di viaggiatori portatori di un valore economico e di possibilità d’investimento: lavoratori frontalieri o con contratti a termine, manager, studenti, trasportatori. L’idea è quella di creare un data base con i dati alfanumerici e i rilievi dattiloscopici di questi soggetti, compresa un’attestazione di “non pericolosità”, allo scopo di alleggerire e rendere più veloci i controlli alla frontiera, permettendo un passaggio automatico e rapido di uomini e merci. Infatti questi soggetti registrati, avrebbero in dotazione un token, cioè una chiavetta con un codice che permetterebbe loro il passaggio automatico a valichi e aeroporti attraverso cancelli elettronici. Un sistema che già viene attuato, per i cittadini dell’Ue, in alcuni aeroporti continentali.
L’EES (Exit-Enter System) è invece un sistema di schedatura elettronica di tutti i soggetti non comunitari che entrano all’interno dello spazio Schengen con un permesso turistico valido solo 90 giorni. Al contrario di chi chiede un visto prolungato, questi non sono tenuti a rilasciare dati biometrici. Per questo la nuova registrazione proposta prevede il rilievo delle impronte digitali e dello scanner facciale, i cui dati vengono mantenuti all’interno del data base non oltre i 5 anni. Il nuovo sistema biometrico sostituirà il metodo dei timbri, che apportati sul passaporto al momento dell’ingresso, attestano le date d’entrata e d’uscita dai confini esterni.
Tale procedura, considerata oramai obsoleta, presenta numerose problematiche. I controlli manuali delle autorità sono in primis troppo lenti e il sistema cartaceo si presta a contraffazioni, può risultare illeggibile e soprattutto una parte dei soggetti entrati legalmente, distrugge il proprio passaporto per restare irregolarmente sul territorio europeo. Il sistema EES, quindi, va ad affrontare il problema dei cosiddetti “overstayer”, cioè di chi rimane all’interno dello spazio Schengen al di là della scadenza del permesso, secondo molti la stragrande maggioranza degli irregolari. Così, attraverso la schedatura biometrica le autorità frontaliere potranno informare gli Stati membri di un lista abbastanza precisa di soggetti irregolari permanenti sul territorio europeo. Questa lista, inversamente, sarà consultabile dalle autorità nazionali, in caso di bisogno. Gli effetti concreti non si fermano però solo a quanto fin ora detto, ma sfociano, come spesso accade per la gestione migratoria, nel campo della deterrenza. Il sistema di schedatura EES infatti, possedendo le informazioni biometriche degli “overstayer”, renderebbe ancora più difficoltosa la clandestinità di questi irregolari, rendendoli di fatto sempre e comunque identificabili. Questo ulteriore elemento di paura e minaccia si sommerebbe alla condizione d’irregolarità e alle possibilità di reclusione in un Cie, esaltando quindi la ricattabilità del soggetto sul mercato del lavoro.
L’idea sottostante il concetto di “smart border” è quella di confine selettivo ed intelligente, in quanto opera, nella trattazione dei dati, sia una cernita rapida delle categorie di soggetti economicamente rilevanti, a cui spetta il diritto di muoversi velocemente attraverso un corridoio preferenziale, sia amplifica la raccolta d’informazioni e di controllo sui possibili irregolari. Gli elementi che strutturano lo “smart border” sono al contempo elementi di apertura e di chiusura, di sviluppo delle transazioni e rapidità degli scambi da un lato e amplificazione securitaria dall’altro; in due parole una “selettività interessata” che tenta di coniugare profitto e sicurezza.
La chiusura di molti confini interni in Europa, allo scopo di bloccare il passaggio di centinaia di profughi provenienti dalle zone di guerra, e non solo, è stata vista da pochi come un’aberrazione dal punto di vista etico e dai più come una scelta anti-economica. Un gesto, quello di riprendere i controlli doganali interni e di erigere muri e reticolati che apporterebbe gravi danni al capitalismo nostrano ed estero. Quanto detto è senza dubbio vero e l’atteggiamento di alcuni governi contrasta nettamente con i diktat neo-liberisti. Un solo secondo d’attesa al confine è infatti monetizzabile, la merce e gli individui assumono valore nella loro rapidità di movimento, l’attesa ai varchi è così sempre e solo una perdita.
Ma siamo proprio sicuri che i muri e le reti non possano coniugarsi bene con il profitto? La risposta a tale quesito si trova, probabilmente, proprio nel concetto di “frontiera intelligente” che nella selettività dei flussi, passino essi da porti, aeroporti o valichi terrestri, e nel loro controllo tecnologico, trova la sua ragion d’essere. I nuovi sistemi sopracitati, l’RTP e l’EES, vanno indubbiamente in tale direzione. La prospettiva è quella di un “muro intelligente” che si apra solo davanti a qualcuno, gestendo a seconda dei momenti e delle necessità economiche l’entrata e l’uscita di chi bussa alle frontiere ed evitando, idealmente senza intoppi, il rallentamento delle merci. Questo scenario non si è ancora configurato, ma una riflessione è doverosa.
Immaginando cosa si nasconde dietro il nuovo regolamento Ue sopra citato, viene in mente una comparazione con un altro tipo di frontiera, quella marittima, che negli Hotspot trova il suo filtro artificiale. Essendo il criterio “smart”, un approccio intelligente perché opera una selezione interessata dei flussi, potremmo, con le giuste differenze, definire l’Hotspot un esempio di “smart border”?
L’approccio Hotspot può essere applicabile un po’ ovunque, sia esso concretizzato nelle strutture carcerarie greche, pugliesi o siciliane, sia esso minacciato dalle autorità alla frontiera del Brennero, sia esso utilizzato nella questura di Milano o progettabile sulle navi di Frontex. Esso è definibile smart in quanto selettivo ed interessato, poiché seleziona, certo in modo arbitrario e a discrezione delle autorità in loco, due categorie di soggetti: l’immigrato economico e la persona passibile di richiesta di protezione. Entrambe le categorie producono profitto, infatti, dietro tale sistema di cernita si cela un obiettivo ben preciso di valorizzazione economica dei soggetti prodotti.
La selezione operata dall’Hotspot, sfoci essa nel business legato all’Accoglienza secondaria o alla reclusione nei Cie, passi dalla creazione di un esercito d’irregolari o richiedenti asilo sfruttabili dal capitalismo privato o nei progetti dello Stato, produce sempre e comunque un valore. Un’operatività che è definibile come selettività interessata, quindi smart e, a quanto pare, fin troppo intelligente.
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