Tutt’attorno
Recentemente attraverso i proclami della Circoscrizione 7 per una Aurora più smart, abbiamo visto come quest’ultima inchiesta repressiva che ha colpito 13 compagni sottenda una volontà che va oltre l’attacco a una lotta specifica e alle sue pratiche: impedire l’esistenza stessa di un certo tipo di persone all’interno di uno spazio urbano in via di trasformazione.
Alzando lo sguardo dalle carte giudiziarie di qualche zelante servo tribunalizio, si possono vedere i diversi effetti di questa governance del territorio e toccare con mano quanto incida sulla sopravvivenza quotidiana di chi, anche solo individualmente, si ostina a non volersene andare ed escogita i propri modi per andare avanti in questo quartiere. È di pochi giorni fa la notizia di una maxi retata in uno stabile di via Cecchi che ha portato all’individuazione di quattro allacci abusivi all’energia elettrica e alla rimozione dei relativi contatori. Inoltre sono state emesse sette diffide dall’uso del gas per carenze impiantistiche, rimossi tre contatori irregolari e sottratte sei bombole del GPL. La polizia non si è fatta mancare infine, come spesso accade in queste occasioni, di portarsi via sedici persone senza documenti per accertamenti all’Ufficio Immigrazione della Questura.
Se non si vuole essere cacciati dalla rigenerazione di questo spazio occorre resistere a più non posso. Questo non significa solamente star vicino a chi viene colpito oppure decide di non rispettare le misure affibiategli, ma continuare ad organizzarsi. Mentre oggi nel pratone davanti al carcere delle Vallette il presidio prendeva forma e gli accorsi facevano partire i primi slogan, alle serrande di Corso Giulio 45 si teneva un’assemblea contro gli sfratti. Dopo le chiacchere sul da farsi nelle settimane a venire, sulle resistenze ai prossimi sfratti, senza farselo ripetere i partecipanti all’assemblea si sono avviati verso il carcere. Il collegamento è logico ed emerge nello scambio di parole in macchina verso il presidio: non solo quattro loro compagni di lotta sono finiti in carcere per una resistenza a uno sfratto, ma ognuno di loro ha qualche amico o affetto aldilà di quelle mura, oppure lo ha avuto.
Il gruppo al completo si è mosso per il campo calpestando fango e giovane granoturco, si è spostato seguendo i consigli di un ragazzo uscito da poco, “meglio non stare così a ridosso, indietreggiamo per farci vedere da più persone su più piani”. Musica pop si è susseguita ai cori, poi agli interventi in varie lingue e con differenti toni, chi struggente, chi furente. Il rumore, la musica, le grida sono state sentite da dentro, di rimando qualcuno ha urlato, sbracciato, acceso e spento la luce nella cella e a un certo momento è iniziata una battitura. Lo scoppio e il rimbombo dei petardi ha riempito i rari silenzi. Appena il buio si è fatto più denso è stata imbevuta di alcool la scritta che dopo poco fiammeggiava “libertà”.