Tentando la rabbia
Avevamo scritto che al Cpr di Torino la calma degli ultimi tempi non era che apparente. Raramente tra i reclusi al fu Cie non c’è un movimento carsico in cui la voglia di libertà scava crepe nel funzionamento della struttura, a volte in maniera impercettibile, a volte palesemente, talvolta danneggiandola materialmente, talaltra affinando la complicità collettiva. Ci sono poi le grandi occasioni, quelle in cui l’organizzazione di tutti – o quasi tutti – punta in alto, punta a una giornata di rivolta generale, come è accaduto qualche giorno fa.
I detenuti si erano organizzati perché la domenica appena passata fosse il giorno in cui appiccare il fuoco a tutte le aree, ma avevano anche avvertito che alcuni tra di loro parlavano troppo, e con troppa propositività, con i lavoranti dell’ente gestore Gepsa e con le forze dell’ordine. Ecco perché non si sono stupiti quando venerdì, con la scusa di lavori di manutenzione, il campetto è stato chiuso e non hanno potuto incontrarsi oltre le divisioni di area. Un segnale evidente che l’amministrazione della prigione per senza-documenti aveva dei sospetti su possibili disordini.
Sabato mattina infatti la celere ha fatto ingresso in tutte le stanze, ha costretto tutti a uscire per star rinchiusi dentro al campetto, ha perquisito ogni anfratto alla ricerca dell’oggetto vietato per eccellenza là dentro: l’accendino. Pare che durante la procedura siano stati più calmi rispetto al solito sbracciare col manganello e trovati gli accendini abbiano fatto tornare i reclusi nelle aree e siano stati là fino a sera a controllare la situazione. Vista sfumare la possibilità di rivolta del giorno successivo, gli animi dei detenuti si erano a quel punto scaldati e per tutta la sera di sabato ci sono state battiture e urla contro la polizia.
Nell’ultimo anno i numeri sono cresciuti vertiginosamente all’interno del Centro, si parla a oggi di più di centosessanta ragazzi, distribuiti tra l’area blu, l’area gialla, l’area viola, l’area verde e le due stanze attive dell’area bianca. Le condizioni all’interno sono sempre miserabili e il cibo è il maggior motivo quotidiano di preoccupazione per i detenuti, oltre alla sua infima qualità, sono in molti a constatare una stanchezza improvvisa dopo i pasti e le confezioni non integre nelle quali vengono serviti.
Non è certo una novità l’utilizzo degli psicofarmaci nel cibo per tenerli tranquilli, una novella è invece il nome dell’azienda che questa sbobba la prepara, una veterana nel panorama italiano della detenzione dei migranti: la Sodexo, che in passato, parliamo del 2009, riforniva il vitto dei Cie di Ponte Galeria a Roma e via Corelli a Milano. A Torino attualmente ha l’appalto in alcune mense universitarie, tra cui quella del Politecnico di c.so Castelfidardo, in cui la settimana scorsa alcuni nemici delle espulsioni si sono recati per interrompere il pranzo con un racconto al megafono del legame tra l’azienda che prepara i pasti agli studenti e la detenzione di chi non ha i documenti in regola.