Qualcos’altro con cui sporcarsi le mani

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Torino, 9 febbraio 2019

Per tutta la notte, incessantemente, su c.so Brescia si sono sentiti i rumori dei lavori dentro a via Alessandria 12. Operai solerti, protetti dopo più di due giorni da un esercito blu che ha circoscritto una zona rossa, murano, sigillano, bruciano i mobili.
Si sta costruendo la “normalità” del quartiere, proprio quella di cui la sindaca Appendino ha scritto congratulandosi con Questura e forze dell’ordine, la “giustizia fatta” di cui twitta il ministro Salvini riferendosi agli arresti di sei compagni con l’accusa di associazione sovversiva.

Aurora, una lingua di terra tra il centro e la vasta periferia nord, non è un posto facile in cui vivere, non lo è per nulla, e paradossalmente lo è di meno in questi ultimi anni in cui il tessuto sociale, tendenzialmente omogeneo e povero di cui era composta la popolazione che ci viveva, ha iniziato a variare. La borgata operaia è solo un lontano ricordo, quella Torino non esiste più e si perde nel cambiamento dei metodi di sfruttamento che prendono il nome di economia: chi vive qui, spesso senza salario stabile, è calato tutti i giorni in una guerra endemica e atroce per la sopravvivenza, chi perché straniero senza i documenti in regola, chi perché impoverito precipitosamente dalla sottrazione dei servizi sociali, chi a rischio di perdere la casa e il lavoro. Sono le condizioni materiali che dettano questa guerra e qui, ad Aurora, si sentono sempre più terribili i suoi rimbombi proprio da quando la grande economia urbana vi ha riposizionato il suo occhio, dopo che la mano aveva lasciato i ruderi delle fabbriche a trasformarsi in spettri. All’arrivo dei dirigenti Lavazza, passando per scuole di pregio e i poli di street-food e le novelle start-up, giornali e amministratori locali hanno iniziato una spasmodica narrazione della zona: “Aurora sta cambiando, arriva il futuro e la ricchezza!”. Qualche abitante ha scorto la possibilità di vedere la propria casa valorizzata, qualche imprenditore ha pensato di aprire una nuova attività in loco, altri personaggi danarosi da quartieri lontani hanno alzato i prezzi degli affitti. Ed ecco che il discorso contro i poveri si è acuito, è diventato insopportabile: “cacciate chi non paga l’affitto!”, “via gli anarchici che fanno casino!”, “che tornino al loro paese, sono solo spacciatori!”.
I livelli della guerra sono tanti, quelli che si giocheranno nelle città nei prossimi anni per due lire e un tozzo di pane saranno sempre più intensi.
All’Asilo per tanti anni abbiamo provato a guardarla in faccia questa guerra, vederne il volto di un umano sfigurato, e provare ad agire per scompaginarla, cercando di creare legami di solidarietà tra chi ha meno, proponendo e utilizzando la lotta contro chi decide l’altrui destino avendo la sicurezza monetaria di non rimetterci il proprio.
Dalla resistenza agli sfratti a tutto il sostegno possibile nella distruzione delle prigioni per migranti, abbiamo fatto ciò che abbiamo potuto, mai abbastanza per cercare di contrastare questo mondo di miseria e sfruttamento.
E lo Stato e venuto a prenderci più volte, con le sue guardie. Ora è arrivato ancora più in forze, con accuse pesanti contro i  nostri compagni e sgomberando l’Asilo.
Ce lo aspettavamo, perché nelle nostre vite abbiamo deciso di squarciare il velo di innocenza sporcandoci le mani per qualcos’altro, una bellissima e colpevole esigenza di uguaglianza e libertà.

Hanno arrestato sei compagni, hanno sgomberato via Alessandria 12.

Il nostro odio e la nostra rabbia non si possono pesare, ma una cosa la sappiamo bene: ora più che mai hanno tutta la città per esprimersi.

SILVIA, NICCO, LARRY, BEPPE, ANTONIO E GIADA LIBERI! TUTTI LIBERI!