Per colpa di chi?
A oggi sono oramai trentacinque i giorni che Tomi sta passando in sciopero della fame. Il ragazzo recluso dentro il carcere per senza documenti sta protestando contro le condizioni disumane a cui è costretto e per conquistarsi la libertà, vuole uscire da lì. Lo sciopero della fame l’ha ridotto all’osso, ha alterato i parametri vitali e ora non riesce più a deambulare sulle sue gambe, ma è costretto a essere trascinato su una sedia a rotelle, esausto.
Le condizioni di salute sempre più compromesse hanno obbligato, due giorni fa, le guardie a spostarlo nell’area sanitaria del Cpr, la zona meglio nota come”ospedaletto”. Stanze dalle pareti lisce che sono più punitive che sanitarie, celle in cui i reclusi sono abbandonati a loro stessi dopo i purtroppo frequenti atti di autolesionismo, dopo i pestaggi curati alla bell’e meglio per coprire quanto accaduto o che sono il luogo migliore per somministrare sedativi a chi deve essere espulso senza troppe lamentele.
Dopo essere stato infilato dentro una delle cellette lisce, dopo aver rifiutato acqua e zucchero, Tomi è stato preso a calci e pugni dalle guardie, per poi essere abbandonato lì per ore prima di essere tradotto all’ospedale Martini.
Piantonato a vista da un folto numero di poliziotti per corridoi e stanze ambulatoriali del pronto soccorso, Tomi non è riuscito a interfacciarsi direttamente con i medici, che hanno fatto finto di non capire la sua lingua – Tomi parla un buon inglese e francese – e si sono rivolti solo ai piantoni. Il controllo è stato forfettario, stabilendo la diminuzione degli zuccheri e della pressione sanguigna, i medici hanno evitato di verificare le tumefazioni provocate dalle percosse o un check dei valori più approfondito. Hanno frettolosamente dichiarato che le condizioni non sono incompatibili con la detenzione dentro il Cpr, senza lasciar alcun esito scritto degli esami al diretto interessato. Così ancora oggi Tomi si trova dentro il Centro di corso Brunelleschi.
A quanti hanno deciso di essere solidali con chi lotta per essere libero, spetta la ricerca di chi è responsabile della miseria che si vive dentro il Cpr, di chi è colpevole del peggioramento delle condizioni di Tomi e del silenzio che permea questo lager.
Ieri sera un po’ di persone si sono date appuntamento davanti all’ospedale Martini con volantini e uno striscione. La voce di Tomi registrata in due interviste echeggiava da dentro la cassa, qualcuno si addentrava nell’ospedale a parlare con il personale pretendendo chiarimenti, altri sostavano fuori a raccontare la storia a chi entrava e usciva. Il gruppo di solidali si è poi spostato sotto le mura di corso Brunelleschi per un saluto gridato ai reclusi.
Stamani c’è stato un nuovo appuntamento. La meta è stata il 22 di via Giulio dove, dentro all’assessorato alle politiche sociali, dietro una porta blindata, c’è l’ufficio dell’assessore Sonia Schellino. La stessa che si occupa di elargire Tso, di far sbaraccare i campi Rom, dello sgombero dolce del Moi, di centellinare case a affitti calmierati per pochi e obbedienti bisognosi, si occupa anche degli “stranieri” nella città di Torino. Quanto mai azzeccato andare a bussare alla sua porta e chiederle qualcosa su quello che succede dietro alle mura di corso Brunelleschi. Dopo una scampanellata all’uscio corazzato una risposta ha gracchiato al citofono, ma una volta manifestatasi la presenza di un buon numero di persone determinate ad avere chiarimenti, nessuna voce è più trapelata dall’interno dell’ufficio. È stato invece spedito a dialogare con i manifestanti il tirapiedi dell’assessora. Uno pagato proprio per questo, ascoltare le lamentele, le istanze, le urla infuriate di tutti quelli che esausti e furibondi si presentano negli uffici del Comune a chiedere spiegazioni, a pretendere soluzioni oppure semplicemente a sfogarsi, pagato per cercare con supercazzole piroettanti di mescolare le carte in tavola, dichiarare che i responsabili sono altri, che bisogna rivolgersi a un altro ufficio, che purtroppo loro non possono fare nulla, che l’assessora ora è proprio impegnata.
Bene, ha tentato anche stavolta di contenere le ire contro Sonia Schellino. In maniera alquanto maldestra ha cercato di declinare qualsiasi responsabilità dicendo “Beh, se schiatta è colpa del medico non nostra”. Difendendo l’operato di questa giunta ha domandato “Fatemi un nome di una persona sgomberata in questa città?”. Intanto, attorno altri impiegati degli uffici comunali si avvicinavano e chiedevano per cosa fosse quel baccano: “Ah sì? Ma cos’è il Cpr, una casa alloggio?” “Ma questi centri non sono stati chiusi?”.
Che la classe politica formata dal Movimento 5 stelle, composta da “gente comune”, non abbia la formazione e la struttura comunicativa che altri partiti hanno costruito e si sono impegnati per decenni a dare ai loro uomini, appare evidente: se la prima cittadina non è capace a fare la faccia da pesce lesso, e dire due frasi vuote che non accennino invece all’intervento della polizia per risolvere qualsiasi problema, o non rendano palese il rapporto di sudditanza che c’è tra il governo e i governati, è ovvio che uno dei portaborse non possa fare di meglio. Invece, fa venire il sangue alla testa che queste anime belle che si occupano di gestire le scartoffie che regolano la vita materiale di tante persone non sappiano neanche dell’esistenza del Cpr o ne abbiano al limite un’idea molto confusa.
Dopo vari botta e risposta con il citrullo, ecco che è giunta la soluzione del rompicapo: la polizia in borghese ha riempito il piano, al che si decide di ritornare in strada, sotto questo precocemente caldo, sole.
Per ora, attendiamo notizie da Tomi e osserviamo come e chi si passerà la patata bollente.
Pronti a raccoglierla da terra, a cercare chi è responsabile della produzione di miseria, della carcerazione e sofferenza di tanti, e a rigettargliele indietro.