Non c’è posto
Ha aperto i battenti nella serata di sabato la sede torinese del Mercato Centrale. L’evento, pubblicizzato da giorni da un po’ tutte le testate locali, ha richiamato una gran folla di curiosi disposti a una lunga fila per vivere l’esperienza di un panino alla mortadella da 8 euro all’interno di questo distretto eno-gastronomico. Nonostante i locali siano stati apparecchiati celermente – i lavori sono partiti a fine estate 2018 – con strutture di cartongesso, con la qualità di una scenografia usa e getta, a brindare tra i vari stand e cucine a vista c’erano anche i signori della città. La loro presenza in questo palinsesto scenografico mostra con nettezza l’intento del rinnovo del Palafuksas, una potente opera immobiliare di rinnovo urbano, il salotto dove i politici ringraziano gli investitori che mettono a produzione parti di città.
L’impreditore Umberto Montano con sfacciataggine presenta i prodotti della sua opera con un megafono – speriamo che non sia lo stesso che gli sbirri hanno sequestrato ai contestatori ai piedi del palazzo color melma. A fianco di Cortilia, il mercatino dentro il mercato, dove si può fare “la spesa più composita”, un esaltato Marcello Trentini, chef stellato che al suo Mago Rabin fa mangiare a suon di centinaia d’euro, annuncia che farà una cucina popolare delle verdure. Non suona tutto così stonato a fianco di un mercato dove trovi di tutto senza tanti giri di parole? La gente compra quello di cui ha bisogno, riconoscendo la forma, il colore e il prezzo, lo stesso mercato dove centinaia di uomini e donne si spaccano la schiena per due spicci per sopravvivere, lo stesso luogo in cui gente senza nulla fruga in mezzo al putrido per racimolare cibo per sfamarsi.
Questi investitori hanno cercato di lavarsi la faccia, ma la pummarola très chic che vendono ha fatto un disastro. Sul blog del Mercato Centrale un’articolista che potrebbe aver frequentato il corso Corporate Storytelling della Holden scrive “L’abilità (di una città e di chi la fa) è quella di saper trovare il giusto equilibrio. C’è un confine da non superare ed è l’abilità nel rispettarlo che fa la differenza: chi vuole i colori e i sapori dell’etnico deve essere effettivamente in grado di rispettare la multiculturalità e saperla abbracciare. La gentrificazione è per definizione esclusiva e diventa inclusiva quando l’offerta vale per tutti: è qui che entra in ballo il cibo. Chi ama valorizzare la tradizione e gli ingredienti poveri, con lo sguardo attento dell’ecologista e l’expertise di chi fa la lotta agli sprechi, chi dagli scarti crea capolavori d’alta cucina, può non cadere nella trappola del criticismo anti-gentrificazione. Restituire qualcosa di buono e autentico a una città – riqualificarla senza snaturarla e renderla accessibile a tutti – è ancora possibile.“
Nel tardo pomeriggio il confine era delineato da uno schieramento poderoso di forze dell’ordine e l’expertise era quello di chi muove i manganelli. All’esterno del Palafuksas, sin dopo pranzo, decine di agenti in borghese con il supporto di un cospicuo codazzo di celerini facevano la guardia per evitare l’ingresso a persone non gradite. Avvistati i primi contestatori i poliziotti si sono schierati lungo corso Giulio Cesare per allontanarli il più possibile dall’ingresso del Mercato. Dietro questo cordone di celere si è andato via via formando un presidio di un centinaio di persone che, con uno striscione, volantini e interventi al megafono hanno sottolineato come il Mercato Centrale non sia che uno dei tasselli della riqualificazione di Piazza della Repubblica, cui seguirà l’apertura di una Spa e di un ostello nell’ex caserma dei pompieri.
Una piazza destinata a cambiar volto, in cui per tanti, nelle intenzioni delle autorità cittadine, non ci sarà più posto. Davanti all’ingresso del Mercato Centrale sono stati posizionati alberi dentro inamovibili fioriere. Dei veri dissuasori. I giganteschi vasi hanno preso lo spazio che era occupato dai venditori di scarpe, costretti a spostarsi verso il quadrante ovest della piazza dove da tempo quella accozzaglia di “indecorosi” e di liberi professionisti senza iscrizione all’albo che vendono capelli finti, sgombro essiccato oppure passaggi in taxi collettivi, cercano il loro personale modo di sopravvivere.
In questa piazza non c’è più posto.
Non c’è più posto per gli abitanti del numero 12 della piazza e per tanti altri che sono sospinti da minacce di sfratti sempre più solerti e pretestuose verso un altrove temporaneamente più economico. Non c’è più posto per chi stende i teli il sabato nella parte gestita da ViviBalòn, quella che negli ultimi anni, attraverso strategie di city making, è stata trasformata nella parte abusiva, straccivendola, sporca e cattiva del mercato delle pulci.
E allargando un po’ lo sguardo non c’è più posto per tanti in altri angoli della città: per chi tenta di sbarcare il lunario facendo il posteggiatore abusivo, ad esempio, e si trova ad essere additato come uno dei principali nemici del decoro e della sicurezza urbana, oggetto delle attenzioni di un’apposita task force di poliziotti cui i media locali non esitano a lesinare elogi.
Di decreto in decreto, cercando di soddisfare una necessità di sicurezza forgiata di volta in volta, la grammatica della città espelle l’inutile, il marginale e l’indesiderato, erodendo da sotto i loro piedi il terreno utile al loro sostentamento o ancor peggio l’idea che questo terreno possa ancora trovare spazio. Se in questo mondo le risorse sono centellinate il legiferare dell’amministrazione cittadina e dello Stato rimette tutti in fila ad aspettare la loro misera ratio, ammonendo che per qualcuno non c’è neanche più una crosta di formaggio, neanche un anfratto dove ripararsi senza il rischio di essere cacciati.